Donatella Busini, omaggio a Vivien Leigh

Vivien è uno spettacolo che si sviluppa tra realtà e fantasia

Al Teatro Lo Spazio di Roma dal 14 al 17 marzo andrà in scena lo spettacolo Vivien di Donatella Busini, con Caroline Pagani, Alessandro Bevilacqua, Alessandro Calamunci, Ilaria Fantozzi e Mauro Toscanelli, per la regia dello stesso Toscanelli.

Vivien è uno spettacolo che, partendo dalla figura di una grande attrice, Vivien Leigh, due premi Oscar per Via Col Vento e Un tram che si chiama Desiderio, parla di vita e di teatro, quel teatro che l’attrice ha tanto amato e calcato, interpretando personaggi vari e diversi tra loro. Ma è anche la storia di una donna con le sue problematiche, con momenti ricchi di luce e buio. Ho approfondito l’argomento insieme all’autrice del testo, Donatella Busini.

Ciao, Vivien è uno spettacolo teatrale che vuole omaggiare Vivien Leigh, che in molti ricorderanno come la Rossella del film Via col vento. Cosa ti ha attratta della figura artistica e umana della Leigh?

La mia passione per Vivien Leigh è nata anni fa durante un corso di recitazione in cui lei veniva utilizzata come esempio di attrice versatile, innovativa per il periodo storico in cui viveva e per il suo totale controllo di espressioni, movimento e voce. Curiosa di approfondire, ho cominciato a leggere le sue biografie e i suoi scritti scoprendone fragilità unita a disciplina, perfezionismo e trasgressione, senso di inadeguatezza e necessità di comportarsi da diva.

Dicevamo che la maggior parte la ricorderanno come attrice di Via Col Vento e di Un tram che si chiama Desiderio, due interpretazioni che le valsero l’Oscar. Quanto questi due premi le hanno cambiato la vita?

Entrambi le rovinarono la vita. Il primo perché la congelò nel ruolo di Scarlet O’Hara non consentendole di fare altro, soprattutto teatro in quanto era diventata una icona; il secondo perché visse il ruolo di Blanche in maniera così profonda da far emergere le sue debolezze umane portandola lentamente verso un malessere patologico che negli anni successive esplose in modo eclatante.

La Leigh, però, non era solo attrice di cinema, ma in particolare di teatro, cos’era, secondo te, il teatro per lei?

Vivien è stata soprattutto attrice di teatro. Una grandissima attrice di teatro. Il teatro per lei era la vita, per fare teatro fece cinema. Il teatro, con il suo rigore, con le sue regole, i suoi rituali sono stati funzionali al suo stato di salute. È un gran peccato per me non avere registrazione dei suoi lavori. Alter ego di molti drammaturghi dell’epoca, il suo valore e le sue idee innovative vennero ‘rubate’ dal secondo marito Sir Laurance Olivier, grande artista ma che a mio personale giudizio deve a lei parte del suo successo.

Torniamo allo spettacolo dove, in un manicomio c’è una donna convinta di essere la figlia della Leigh. Come hai costruito il personaggio principale??

Il personaggio di Mary, Maria e la sua convinzione di essere la figlia di Vivien Leigh l’ho pensato nella ricerca di una spiegazione delle diagnosi fatte a Vivien di disturbo ossessivo-compulsivo che negli scritti a lei dedicati e originali tutti gli psichiatri del tempo non riuscivano a spiegare se non come un trauma giovanile. Mary, Maria è il suo trauma. E nella convinzione di essere sua figlia assume comportamenti analoghi a quelli che generalmente venivano e vengono associati a Vivien Leigh. Ma qualcuno nella storia vuole capirne di più.

Quali sono i personaggi che hai voluto avvicinare all’ipotetica figlia di Vivien e perché?

Il lavoro si gioca sul piano del sogno e della realtà di un manicomio degli anni 70. Ogni personaggio del piano della realtà, il narcisista direttore, lo psichiatra innovatore e l’affettuoso infermiere diventano nella dimensione del sogno di Mary, i tre uomini più importanti della vita sentimentale di Vivien Leigh: Laurence Olivier, John Merivale e il padre di sua figlia Herbert Leigh.

Qual è il messaggio che vuoi far arrivare al pubblico?

Il testo oltre ad essere un atto d’amore per il Teatro, al teatro nel teatro e a Vivien Leigh, il messaggio che mi piacerebbe arrivasse è che dietro a certi disturbi psichiatrici ci sono in genere ragioni spesso indecifrabili e che stigmatizzare le malattie mentali è atto di superficialità e mancanza di empatia.

Come vedi la regia di Mauro Toscanelli?

La doppia azione sul piano onirico e reale è il cuore di questo ‘giallo psicologico’ e solo un regista visionario poteva renderle al meglio.

Grazie e in bocca al lupo!

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Sissi Corrado

Responsabile del Blog Interessi tanti: lettura, scrittura, teatro, cinema, musica, arte, collezionismo, sociale, ecc.

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