Genova per noi: vent’anni dopo – prima parte
Il G8 di Genova, vent’anni di controversie per uno dei più contestati incontri econimici mondiali
L’utopia: 19-22 luglio 2001
“L’economia mondiale è la più efficiente espressione del crimine organizzato. Gli organismi internazionali che controllano valute, mercati e credito praticano il terrorismo internazionale contro i paesi poveri e contro i poveri di tutti i paesi con tale gelida professionalità da far arrossire il più esperto dei bombaroli.” Eduardo Galeano
Genova, per quelli della mia generazione è un ricordo che parte dal luglio 1960, esattamente 41 anni prima di quel maledetto luglio 2001.
Gli anni sessanta erano gli anni in cui il nostro paese si trovava in pieno miracolo economico ma il benessere nascondeva profonde lacerazioni socio-politiche. Si stava provando, con fatica, a uscire dagli anni’50 e a far nascere il centrosinistra. La destra provò con il congresso missino e con il governo Tambroni a fermare una storia che tre anni dopo nel 1963 vide la nascita del primo centrosinistra ed un decennio di forte espansione economica e culturale che ci avrebbe portato al biennio studentesco prima (1968) e operaio dopo (1969). Furono anni di forte modernizzazione del paese, della centralità della fabbrica, di imponenti migrazioni interne, di un forte sviluppo culturale che portò al passaggio dalla scuola di classe alla scuola di massa. Il 1960 vide l’affermarsi dell’antifascismo militante, dei “giovani con la maglietta a strisce”, la prima generazione che non aveva partecipato alla Resistenza; allora c’era Almirante, il MSI e un giovane Fini che ritroveremo a Genova 2001.
Ma furono anni anche di grande conflitto, una richiesta di cambiamento profondo che non coinvolgeva solo il livello politico (soprattutto il Partito Socialista e suo ingresso nel centrosinistra) ma anche la trasformazione delle classi sociali e l’emergere da un lato della figura centrale della classe operaia e per la prima volta nella storia i giovani come classe sociale che poi dettero vita al sessantotto e da lì ai cambiamenti successivi sia nelle fabbriche che nella società. Allora ci fu un intellettuale il socialista Raniero Panzieri che seppe interpretare, diciamo così, lo spirito del tempo. Riporto un passo di un suo articolo che uscì il 25 luglio 1960 sulla rivista della federazione torinese del PSI “La Città”. Sono parole scritte sessantuno anni fa, ma ancora attuali, dove si ragiona intorno a forze organizzate e spontaneismo:
«È dunque necessario conquistare, al livello delle forze politiche organizzate, una consapevolezza precisa e seria del movimento reale del Paese. E per questo occorre, innanzi tutto, riconoscere i tratti del processo democratico che da lungo tempo è andato maturando nella nostra società, al di fuori, in gran parte, dalle linee e dagli obiettivi perseguiti dai partiti di sinistra. Ciò che è caratteristico di questo processo è che, nonostante la sua estraneità ai partiti, non ha per nulla i connotati tipici della “spontaneità”: il suo grado di coscienza è fortemente sottolineato dalla capacità delle giovani leve operaie di “servirsi” del sindacato unitario (soprattutto) e anche dei partiti di classe, nella stretta misura in cui la partecipazione e il sostegno delle organizzazioni operaie esistenti sono necessari all’affermazione di uno schieramento unitario di classe16… Ma questi elementi possono prendere rilievo e consistenza durevole soltanto in una prospettiva politica generale. E proprio questa prospettiva è presente nell’azione dei partiti solo assai parzialmente e in modo deformato. Essa dovrebbe concretarsi nella rivendicazione di un mutamento profondo nelle strutture economiche e sociali, nella individuazione dei processi totalitari del potere, che dalla grande fabbrica si estendono a tutti i livelli del Paese, in un rifiuto del divario che l’azione capitalistica provoca e aggrava di continuo tra la realtà dei rapporti politici e le istituzioni…».
Una delle caratteristiche che lega il movimento del sessantotto al movimento no global del 2001 e stato sicuramente quello, come scrive Panzieri, che “nonostante la sua estraneità ai partiti, non ha per nulla i connotati tipici della “spontaneità”. Furono ambedue movimenti che incisero profondamente nella società e i cui effetti ancora oggi sono tra noi.
Il sessantotto rese protagoniste soggettività come gli studenti, gli operai, le donne a livello globale dall’America all’Italia, dalla Francia fino al Giappone e alla Cina. Lo fu anche per i “no global” del 2001, un movimento che attraversò nazioni, generazioni, classi sociali, fedi religiose, le cui proteste partirono da Seattle e arrivarono in Italia in occasione della riunione dei potenti della terra. Il “movimento dei movimenti”, aveva individuato nell’aumento delle disuguaglianze, nella devastazione ambientale, nel ruolo delle multinazionali, nella pervasività della finanziarizzazione economica, nel debito dei paesi poveri, temi che dal 2013 papa Francesco, nel linguaggio proprio della spiritualità cristiana, avrebbe messo al centro della sua missione pastorale, prima con la “Laudate Sì” e poi con “Omnes fratres”.
I potenti allora dominanti, che ricordiamoli erano George W. Bush, Vladimir Putin, Tony Blair, Jacques Chirac, Gerhard Schröder, Junichiro Koizumi, Jean Chrétien e Silvio Berlusconi si riuniscono nel vertice del G8 per discutere la gestione economica mondiale, il commercio internazionale e il rapporto con i Paesi in via di sviluppo. Da quel luglio 2001, sono trascorsi venti anni, durante i quali abbiamo visto affermarsi nel mondo le politiche neoliberiste mentre le politiche pubbliche sono spaventosamente arretrate. Abbiamo assistito ad un loro fallimento con la crescita delle disuguaglianze, con la precarizzazione del lavoro e oggi, anche a causa di una pandemia mondiale, ci troviamo ad un nuovo cambiamento d’epoca, dove la stessa Europa ha dovuto cambiare passo, o almeno lo speriamo, ma dove vediamo, purtroppo, le forze della conservazione e della reazione avanzare minacciosamente e le forze della sinistra sempre più divise e sfilacciate.
Oggi anche il ceto intellettuale non è più quello di un tempo. Purtroppo non abbiamo più intellettuali come Panzieri che ci possono dare indicazioni ed analisi di medio e lungo periodo. Oggi siamo schiacciati sul quotidiano e dall’affermarsi non di un intellettuale collettivo ma da una prospettiva dell’uno vale uno. Oggi stiamo vivendo una fase storica in cui l’irrilevanza, tentata, praticata o solo pensata, dei “corpi intermedi” insieme alla personalizzazione della politica e alla sua verticalizzazione ci sta conducendo verso una “società atomizzata” in cui il pensiero politico collettivo non riesce più a “pensare la società” per una sua trasformazione. I giovani che si ribellarono nel 1960 e poi nel 1968 e 2001 provarono a sollevare il problema di quello che sarebbe accaduto domani e dopodomani e lottarono e continuano ancora oggi, insieme ai molti con i capelli bianchi, a farlo contro chi pensa solo all’oggi.
Oggi le “opinioni individuali”, ed in questo i social stanno dando un “utile” contributo, fanno aggio su quello che chiamavamo “intellettuale collettivo” e se vogliamo tornare a “fare politica” dobbiamo tornare a individuare interlocutori, referenti sociali, progetti, strategie, forme di organizzazione. Ma Genova è stata solo una tappa di una storia che è continuata e continuerà anche dopo di noi ed è arrivata fino ai nostri giorni perché a muoverla è la speranza, come diceva Sant’Agostino “La speranza ha due bellissimi figli: lo sdegno e il coraggio. Lo sdegno per la realtà delle cose ed il coraggio per cambiarle”.
La “macelleria messicana” ha avuto per fortuna migliaia di “occhi elettronici” per testimoniare ciò che accadde, anche se il potere di allora, ma direi anche quello attuale, ha fatto di tutto per nascondere le responsabilità politiche e di gestione dell’ordine pubblico, come gli occhi elettronici che hanno mascherato oggi l’orribile mattanza nel carcere di Santa Maria Capua Vetere. E se una lezione abbiamo imparato è che oggi è quanto mai necessario che si arrivi ad un codice identificativo per le forze dell’ordine, basti pensare che l’Italia è uno dei cinque paesi europei su ventisette dell’Europa a non esserne dotata, a cui proprio per garantire uomini e donne in servizio di ordine pubblico, andrebbe aggiunta anche la videocamera mobile.
Noi, come ci ricorda il grande vecchio Goffredo Fofi, siamo una “minoranza eticamente motivata” detto in altri termini siamo dei “rompicoglioni”… e allora anche io, vista l’età, mi sento un po’ Goffredo Fofi, faccio mio il suo invito: “Resistere , studiare, fare rete e rompere i coglioni”.
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