La Bambina di Kiev, il romanzo documentario di Luca Crippa e Maurizio Onnis

Documentare la realtà è un difficile compito, Luca Crippa e Maurizio Onnis provano a farlo con i loro romanzi

Luca Crippa e Maurizio Onnis sono gli autori di La bambina di Kiev il primo romanzo verità sulla guerra che imperversa ormai da mesi in Ucraina. il conflitto è entrato con prepotenza nelle nostre case e ha sconvolto le vite di un popolo europeo, mettendo in discussione i rapporti democratici.

Questa è anche una guerra che viene raccontata giorno per giorno dagli inviati, dai giornalisti e che si basa, spesso su fake news pubblicate da entrambe gli schieramenti. Non solo bombardamenti e uomini a combattere strada per strada, ma attacchi hacker tesi a scatenare la paura e la tensione. Ebbene sì, se da una parte c’è la negazione di una guerra, dall’altra c’è la paura e la fuga da un luogo di guerra.

In questo caso sembra importante riuscire a scoprire e conoscere cosa sta accadendo, non dalla politica, ma da chi la guerra la sta vivendo giorno per giorno. Gli scrittori Luca Crippa e Maurizio Onnis, hanno deciso di raccontare ciò che è avvenuto dall’inizio del conflitto e come questo abbia modificato la percezione della guerra e della sicurezza nella popolazione, in particolare nei bambini, i maggiori destinatari di una realtà che vorremmo non vedere mai. Con noi ne hanno parlato gli autori del romanzo.

Il libro La bambina di Kiev racconta una storia nel momento stesso in cui accade, siamo già a sei mesi di guerra tra Russia e Ucraina e già sentiamo e scriviamo libri che raccontano tante storie. Vi siete focalizzati sulla storia e la visione di una bambina di 10 anni, perché?

Maurizio Onnis: Lo sguardo che abbiamo cercato di rappresentare è quello delle persone normali, i più deboli, i cittadini inconsapevoli (fino a un attimo prima) della gravità reale delle tensioni che coinvolgono il proprio Paese, le decisioni del governo, gli interessi contrapposti…

Vogliamo che il lettore possa “ascoltare” anche grazie a noi la voce di chi nella guerra si è trovato improvvisamente, come in un incubo che ti piomba addosso e dal quale non sai assolutamente come uscire, perché un “mostro” più grande di te e di tutti ha deciso di divorarti.

Quindi: niente politica (o pochissima, appena accennata, a denti stretti, nei discorsi confusi della gente in fuga…), niente analisi, niente risposte. Ma solo follia, atroce dolore, innocenza tradita e fuga da tutto verso l’ignoto.

Luca Crippa: La persona che meglio può spingerci ad assumere questo punto di vista non poteva essere che un bambino di 9-10 anni: ancora immerso nella sua infanzia, ma capace, se strappato da essa, di vedere, farsi domande, coltivare speranze, mettere in atto meccanismi di difesa dal dolore e dalla follia.

La guerra, ogni guerra, riduce allo stato di un bambino impaurito anche adulti esperti… che però hanno forse perduto la loro elasticità e adattabilità. Oltre che l’innocenza dello sguardo.

Nel libro si parla della paura e di tanta incomprensione per una guerra scoppiata nel cuore dell’Europa nel 2022. Ma davvero non era prevedibile un fatto del genere? Non ci sono state avvisaglie che potevano frenare questo eccesso di violenza?

L.C. Sulla guerra, ancora in atto, si continua giustamente a riflettere, anche per cercare (quando sarà possibile…) delle vie per una trattativa onorevole per entrambe le parti.

Su quanto ha preceduto il conflitto possiamo già dire, tuttavia, che ai cittadini di Kiev (per fare solo un nome) non poteva sfuggire la situazione di tensione e, di fatto, di guerra civile in Donbass… ma nulla faceva pensare che questa avrebbe potuto provocare una reazione tanto sproporzionata da parte della Russia di Putin.

M.O. È evidente che interessi ben più ampi hanno motivato la mossa della Russia (e la reazione dell’Ucraina e dei suoi alleati). Interessi di cui i comuni cittadini, in ogni Paese europeo e nel mondo, potevano solo immaginare l’esistenza, ma non misurarne la gravità.

La vicenda di Alisa è simile a quella di tanti bambini costretti a fuggire dalle proprie case, dalla propria vita. Questo orrore colpisce ancora la mente e l’immaginario delle persone o siamo assuefatti dalla tragedia e la mettiamo in secondo piano?

M.O. Abbiamo scritto il romanzo-verità proprio per contribuire a evitare l’indifferenza. La guerra è certamente un enorme fatto politico ed economico. Questa enormità (che ci raggiunge nelle nostre case, ad esempio con l’aumento del costo del gas…) rischia di oscurare le vicende di milioni di persone con le quali non è immediato identificarsi.

Una delle funzioni dell’arte, anche messa a servizio di una testimonianza “non insensibile”, è di provocare esperienza, stimolare immaginazione, far percepire sulla pelle l’urgenza dei sentimenti di paura, minaccia, estrema insicurezza e atroce – improvvisa! – separazione da persone uccise o disperse.

Una guerra, in ambedue gli schieramenti è sempre portatrice di morte, violenze, distruzioni, non si sala nessuno: i bambini e le persone che fuggono, quale consapevolezza si portano dentro?

M.O. I bambini capiscono una cosa: che il “mondo degli adulti” è improvvisamente impazzito, è regredito: nega se stesso come fonte di regole, di valori, di energie positive e costruttive, di affetti e di rassicurazione, di bellezza e di cose belle da scoprire…

L.C. Nel suo romanzo Povera gente, Dostoevskij propone al lettore una delle sue innumerevoli “illuminazioni”. In una famiglia poverissima, che nessuno ha voluto aiutare, muore il padre e la miseria si farà per questo motivo ancora più terribile. Durante lo squallido e frettoloso funerale, il protagonista, presente con altri adulti, è improvvisamente colpito dallo sguardo severo e “pensoso” di un bambino, il figlio del defunto, mentre la madre urla il suo dolore e la sua paura per il futuro. Il commento è sconvolgente: “È terribile quando facciamo pensare un bambino”.

Dostoevskij non intende dire che i bambini non debbano essere progressivamente educati a pensare. Intende una questione ben più profonda: il “senso delle cose” dovrebbe essere sempre presentato ai bambini come qualcosa di solido: come un sentiero, magari difficile, a tratti, ma su cui si può camminare, facendo poi le proprie scoperte e, magari, cambiando completamente strada.

Ma che un bambino pensi, perché il mondo di cui è stato da poco invitato a far parte ha improvvisamente rivelato un volto assurdo… è una vera tragedia. Ecco perché le trattative di pace dovrebbero essere condotte assumendo il loro sguardo e dando loro (compito difficilissimo, ora) risposte convincenti.

Ora che mi avete fatto vedere questo… ditemi perché vale ancora la pena di vivere”…

 Il destino di un popolo, quello ucraino, è legato alla forza di uomini e donne che combattono per il proprio Paese, ma anche alla cooperazione internazionale che da una parte rifornisce l’esercito di armi e dall’altra cerca di mediare una risoluzione pacifica del conflitto. Quali aspettative hanno gli ucraini oggi? E il governo ucraino?

M.O. Non abbiamo risposte originali o particolarmente informate a queste domande. Chiunque governa e governerà, sia in Ucraina sia in Russia, dovrà rispondere alle domande dei propri bambini. Si tratta di una situazione in cui le “ragioni” della politica e dell’economia sono messe giustamente a dura prova.

Insieme avete scritto dei libri che documentano eventi reali, attraverso gli occhi e la vita di personaggi che si sono sempre trovati all’interno degli stessi. Il romanzo che diventa documentario e che racconta. Perché questa scelta e quali sono le aspettative che avete sulla lettura dei vostri libri?

L.C. Quando presentiamo i libri in pubblico, ci chiedono di firmare delle copie appena acquistate e di scrivere una dedica. Spesso scrivo: “Leggi, vedi, senti, soffri, spera, rifletti… e soprattutto ama!

Penso a Kiev, ma nella mente mi si affacciano le immagini dei profughi afgani, degli africani, anche loro in fuga da guerre e distruzioni, metterei anche climatiche, queste ultime fortemente causate dal progresso economico. Ci sono differenze di profughi e accoglienza? Perché, onestamente, i cittadini europei e anche italiani ne fanno, e molta! Penso ai confini polacchi dove fanno entrare gli ucraini e lasciano fuori tutti gli altri!

M.O. Come trascurare uno dei terribili “messaggi” al mondo di questa guerra? Dice così: “Vedi quanto poco ci vuole perché il prossimo in fuga e bisognoso di tutto sia tu?”.

E ancora: Questa bambina è tua figlia, lo capisci?

Siamo tecnologicamente molto attrezzati… ma quanto alla conoscenza e alla partecipazione alla verità universale dell’animo umano siamo fermi da millenni, con qualche coraggioso tentativo di crescita, che per fortuna non manca mai, in nessun popolo.

Siete costantemente sulla storia del momento, sulle vicende che accadono e che la storia ripropone di volta in volta. Avete già in mente un altro resoconto, una documentazione da dare ai vostri lettori?

L.C. Facciamo ricerche costanti su diversi soggetti. Vogliamo scrivere quando ci sembra sia utile. Quando diventa urgente dare risposte ai pensieri e ai dubbi di un bambino (e c’è un bambino in ciascuno di noi: lo percepiamo, se proprio insistiamo nel trascurarlo, quando siamo ansiosi, o depressi…).

M.O. Stiamo ricostruendo altre storie vere a proposito del “nodo di Auschwitz” (che probabilmente non si scioglierà mai completamente) e anche questioni di “giustizia sospesa” (ad esempio le tragiche contraddizioni della lotta tra lo Stato e la mafia o delle mostruosità di interessi economici che a furia di “non guardare in faccia a nessuno” diventano ciechi anche a proposito dei loro stessi interessi.

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Sissi Corrado

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