La forma dell’arte e la necessità d’espressione

La rivoluzionaria arte del novecento, tra surrealismo e art brut
L’arte che fino all’800 si è occupata di rappresentare al meglio la natura, ha poi cominciato il suo storico cambiamento verso nuove forme di espressioni diversificate: la pittura di storia, stile alto per eccellenza, ha lasciato il posto a nuove sperimentazioni e a forme artistiche inusuali, che dovevano trasmettere qualcosa differente: lo stato d’animo. Con il romanticismo nell’800, qualcosa di più iniziava a trasparire, l’interiorità dell’artista prendeva forma sulla tela per un’arte che non doveva più comunicare solo perfezione.
L’empatia in senso moderno si affacciava con l’impressionismo e il post impressionismo tra le nuove pennellate che riempivano le tele: le linee, i colori, le forme ora comunicavano gioia o inclinazione alla tristezza. Il passo successivo è stato liberare l’arte dalla mimesis con il mondo, o meglio liberarla dal dovere di rappresentarlo. Kandinskij in particolare promosse una concezione dell’arte pittorica che doveva seguire le orme libere della musica, non simile a nient’altro se non a se stessa: una nuova idea di composizione pura e spirituale.

A sostegno di un’arte che non aveva altra necessità se non quella di rappresentare un bisogno di espressione, una necessità interiore, e non per forza qualcosa che l’occhio potesse riconoscere al primo colpo, Kandinskij con il suo scritto Lo Spirituale Nell’arte pubblicato nel 1912, getta le basi filosofiche per le sue ricerche pittoriche: l’arte astratta riceveva una sua teorizzazione sulla base della sperimentazione di linea e colore. D’altronde il sentimento di una arte contemporanea ormai esausta, morta, e necessitante di nuova linfa vitale è comune anche ad altre grandi ricerche artistiche.
Il surrealismo di Breton, così come quello di Bataille, si interessarono alle nuove forme dell’arte: quella dei bambini, dei malati di mente, ma anche quella popolare e non colta, che manteneva una spontaneità ormai dimenticata dagli artisti, divorati dalla grande scuola accademica. Tra gli anni 40 e 50 infine venne teorizzato da Dubuffet, artista, collezionista e profondo conoscitore dell’espressione artistica, la definizione di Art Brut: un’arte lontana dagli accademismi, non educata, non culturale e lontana tanto dal mercato che dagli influssi mondani. Reclusa in manicomi e nelle carceri, questa creazione vitale veniva prodotta in modo puro, in contesti di reclusione dove era necessità primaria di espressione, carica di forza, priva di formazione e necessaria.

Un’arte irregolare che comprendeva tanto alienati, che prigionieri, così come l’arte dei veggenti. Tutto andava bene per contrastare la cultura dominante e le sue poco vitali soluzioni di mercato. Così la stessa importanza per questi tipi di arte colpiva la pittura di Klee che, similmente a Dubuffet, lascerà influenzare le proprie creazioni da quelle brut. Anche il gruppo Cobra guarderà a quest’arte non colta, simbolo di rinnovamento, libertà e scelta dissidente.
Come in un rinascimento dell’interiorità, nel ‘900 al centro degli interessi generali si è posta la ricerca di forme espressive dirette e pure, che includevano in un ambiente ormai divenuto elitario ed accademico, arte prodotta da persone diverse, spesso dei veri e propri outsider. Rivedere queste posizioni all’attuale, mostra come l’inclusione nei canoni artistici di produzioni diverse, abbia già lavorato su una eliminazione di differenze tra arte bassa e presunta alta, una distinzione che spesso resta uno schema mentale ormai âgée: l’arte è libera espressione ed è di tutti coloro che ne necessitano.
Chi vuol porre limiti probabilmente è solo preoccupato di non riuscire a definire se stesso in un mondo troppo mutevole e fluido, ma le possibilità di godere del bello è ovunque oggi, per le strade delle città storiche così come nelle periferie urbane: l’arte si accosta ad ogni causa, dissidente o pacifista, ecologista o di denuncia. Cambiate le forme, evolviamo i nostri sguardi.