La moda tatuata

Non nego di avere pregiudizi a riguardo del tatuaggio: il ‘per sempre’ sulla pelle mi mette angoscia, mi toglie il senso della libertà. Il ‘ti amo pingopallino’ tatuando il nome del ragazzo di turno, sapendo che una volta finita la storia lo dovrò leggere per sempre non lo concepisco.

Ma è il mio pensiero, sicché, con distaccata analisi voglio oggi parlarvi di questo modus di ‘vestirsi’, partendo da una frase che leggo spesso sui social come risposta alla mia domanda ‘non spaventa una tatuaggio per sempre, ‘anche tu hai la tua brutta faccia e te la devi tenere per sempre’.

Era tatuato in passato il detenuto, trascorreva così il suo tempo disegnandosi addosso un desiderio, una rabbia, una religione, un vizio. E quindi il tatuaggio etichettava qualcuno poco di buono. Anche le teorie di Lombroso affermavano che chi si tatua, oltre i connotati malavitosi, ha predisposizione a delinquere. E, in particolare i primi detenuti a tatuarsi erano del sud. Pare che la ‘moda’ sia nata nelle carceri di Favignana, che erano delle vere e proprie officine del tatuaggio.

Cosa è successo poi nel tempo a far si che oggi il tatuaggio sia amato da tanti, nei vari ceti sociali: ricchi, poveri, professionisti, idraulici, casalinghe e dirigenti d’azienda?

Prende vita in versione  quasi ‘lecita’ in Italia sull’ondata degli anni degli hippy in America, ma molto, molto lentamente. Intorno agli anni Settanta l’unica tradizione rimasta nel nostro paese era quella dei marinai, e in tutta Italia al di fuori dei porti c’erano cinque tatuatori, che ti tatuavano nel retrobottega.
Negli anni Ottanta dovevi avere una motivazione forte per fare un tatuaggio, qualcosa di tuo che volevi comunicare all’esterno. Un messaggio di rottura, rivoluzionario, una sorta di manifesto per la società.

Oggi invece si fanno un sacco di tatuaggi perfetti, ricercati, sofisticati, ma senz’anima, cioè per come la vedo io, non vogliono dire nulla se non ‘abbellire’ il corpo o parte del corpo.

Quindi abbellimento, collezione di disegni che forse dicono qualcosa di una determinata parte della vita del tatuato: la data del proprio matrimonio, cancellata da una croce a separazione avvenuta, una poesia d’amore dedicata dall’uomo amante di turno, un versetto ebraico copiato dai testi sacri, ma di cui non si sa il significato, ma fa ‘figo’; un fiore, un cuore, un simbolo tribale, lo scudetto della Roma, l’aquila della Lazio, e ancora all’infinito.

Quindi rifletto, posso accettare un simbolo che vuole ‘denunciare o lanciare bei messaggi che varranno per sempre ,‘viva la vida’ , ‘onora il padre e la madre’ , ‘ carpe diem’, ma la decorazione tout court a che pro?

Perché disturbare la visione di una bella caviglia con tatuata una tartaruga, o un bicipite sodo, muscoloso con scalfito il proprio segno zodiacale, o un ventre piatto di donna con una bussola quasi a voler indicare il punto ‘G’?

Rispetto le scelte del prossimo, come quando vedo un brutto vestito, ma il mio sguardo viene disturbato alla stessa maniera, infastidito:  un corpo nudo di uomo tatuato non mi eccita, mi distoglie il fatto di chiedermi ‘come mai si sarà tatuato COGITO ERGO SUM?’, sarà un amante della filosofia cartesiana?

Non mi odiate uomini e donne tatuate per questi miei commenti, ma la natura ci ha fatto perfetti, meravigliosi senza dover aggiungere nulla… E il concetto di ‘per sempre’ limita la conoscenza, l’evoluzione, il cambiamento.

Ciò che c’è di più profondo, è la pelle’. (Paul Valery)

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Arianna Alaimo

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