Loro.Io il primo libro di Paolo Incani

Un libro che racconta di amicizia e di coraggio

Loro.Io è il primo libro scritto da Paolo Incani ed edito da Gruppo Albatros IL FILO. Il suo viaggio nel mondo, attraverso le parole scritte, è un viaggio introspettivo, che invita il lettore a prendere coscienza di alcune verità ovvie che appaiono poco visibili a chi vive la propria vita in modo frenetico.

Da sempre è appassionato di viaggi, fotografia, lettura, Paolo Incani è docente di matematica e scienze alle scuole medie inferiori. La sua vita è racchiusa in due parole: fasi e cambiamenti; un po’ come ciò che è avvenuto con i suoi lavori.

Salve, Loro.Io è il suo primo romanzo, come nasce in lei l’idea di raccontare una storia?

Ho sempre coltivato una grande passione per la lettura dei libri e, in fondo, ho sempre pensato che avrei finito per scriverne uno io…

In effetti non sono un autore, ma un professore di matematica, sopravvissuto a una leucemia acuta tanto improvvisa quanto aggressiva. In quel brutto periodo ho deciso di trovare nella scrittura il conforto e la distrazione necessari a evadere dalla sofferenza e a dare un senso a quelle interminabili giornate in ospedale, che altrimenti sarebbero state fagocitate solo dalla malattia. Quel che ne è venuto fuori è un romanzo tutt’altro che triste, dove solo in alcuni passaggi si fa riferimento all’esperienza vissuta, ma studiatamente in una chiave positiva e incoraggiante.

Il libro avrebbe dovuto essere un compagno di viaggio durante la malattia – tant’è che le pagine dei ringraziamenti le ho scritti l’ultimo giorno prima delle dimissioni dall’ospedale – ma anche un lascito per chi mi conosceva e mi ha voluto bene perché, parafrasando Foscolo, “un uomo non muore mai se c’è qualcuno che lo ricorda“. Il progetto del libro invece è andato ben oltre quando Albatros lo ha selezionato e me lo ha pubblicato, con una prefazione deliziosa di Barbara Alberti.

Perché intitolarlo Loro.Io?

Il titolo del libro è emblematico, così come lo è anche l’immagine della copertina. Leggendo il libro si intuisce poco a poco il senso del titolo del libro e poi si svela chiaramente all’ultimo capitolo, con un inaspettato finale a sorpresa.

Protagonisti del romanzo sono Pascal, Fabio Massimo e Lorenzo. Come sono i personaggi, qual è la loro caratteristica più evidente?

In ordine di comparizione:

Pascal si presenta come un entusiasta insegnante che vive la vita mosso dalla curiosità e che impara, a costo di mettere alle spalle una storia sentimentale che in fondo non lo appaga più, che è possibile trovare la felicità anche cercandola in sé stessi. Fabio Massimo è un manager in una primaria multinazionale americana, molto affermato nel mondo lavorativo, con una lunga storia sentimentale chiusa da tempo per delle proprie mancanze, la fine della quale non è ancora del tutto riuscito a metabolizzare. Lorenzo, infine, è quello dei tre che ha una situazione lavorativa meno coinvolgente ma che trova soddisfazione in altri molteplici interessi personali. È anche l’unico ad avere una relazione sentimentale stabile, seppure un po’ anticonvenzionale, e a essere sposato.

Accanto a tali differenze vi sono anche molti punti di contatto che emergono nel corso del racconto, primi tra tutti la passione per i viaggi, l’amore per la lettura, l’aver saputo rimettersi in piedi dopo aver vissuto delle esperienze tragiche ciascuno, i valori dell’amore e dell’amicizia.

Ragazzi che non si conoscono ma che alla fine si fermano a confidarsi qualcosa: qual è l’importanza del dialogo? Si sta perdendo la possibilità di dialogare con gli altri: quanto penalizza, questo, i rapporti interpersonali?

La trama è articolata e si avvale di molteplici personaggi, ma i protagonisti principali sono tre uomini e il libro in qualche modo, celebra l’amicizia al maschile. Nella prima metà, che è ambientata a Roma e copre un periodo di tempo lungo alcuni anni, per l’appunto i tre protagonisti non si conoscono e conducono vite distanti e parallele che si sovrappongono unicamente attraverso soluzioni narrative originali. In questa sezione del libro, il lettore è portato a stabilire separatamente con i tre protagonisti, un rapporto personale di conoscenza e quasi di intimità.

È a metà del libro che, per una fortuita circostanza e per la gioia del lettore, i tre protagonisti si incontrano durante una vacanza in un’antica dimora salentina. Sarà qui che, grazie a una vita più essenziale, che rallenta e che dà più spazio al dialogo rispetto a quella di Roma, ma grazie anche alle magiche atmosfere che caratterizzano quelle terre, i tre riescono, tornando ai valori primitivi dell’aggregazione, del dialogo e del confronto, a costruire una profonda amicizia. In ultimo, con un “finalone a sorpresa”, scopriranno poi che le loro vite sono molto più vicine di quanto non immaginassero.

Una delle frasi che accompagna il libro cita: “La vita è quello che ci capita; la differenza sta nel come decidiamo di viverlo…”, cosa rappresenta questo nel libro e nella sua vita?

Questa frase sintetizza un mio modus vivendi, una certezza ulteriormente consolidata, ove mai ce ne fosse stato bisogno, dalle varie vicende che hanno interessato ultimamente la mia vita. Per questo motivo è ricorrente tra le pagine del libro e sinteticamente ci invita a ricordare che non sempre, malgrado i nostri sforzi, le cose cambiano, migliorano o vanno come noi vorremmo che andassero: succedono e basta. Noi però possiamo sempre decidere come viverle, invece che frustrarsi immaginando e inseguendo una vita perfetta, darsi da fare per rendere la più perfetta possibile la vita che già abbiamo.

Lei insegna in una scuola media inferiore, il suo lavoro con i ragazzi ha influenzato il suo romanzo?

Un insegnante, per indole, ricerca, si aggiorna, sperimenta, si rinnova ed è, soprattutto, un comunicatore che cerca di suscitare interesse; quindi lo scrivere un libro è per lui una sfida affascinante. Oltre a questo però, se non per il fatto che uno dei tre protagonisti è anch’egli un insegnante e nel romanzo racconta qualche aneddoto sulla scuola e sui suoi ragazzi, per il resto non vi è molta aderenza.

L’insegnamento non è l’unico lavoro che ha svolto, cosa l’ha portato a fare le sue scelte, i suoi cambiamenti?

Quella dell’insegnante è una essenza, è un modo di essere, è un lavoro complesso e molto faticoso, specialmente se riferito ai ragazzi cittadini di questi tempi, che vivono nell’assenza e nell’inconsistenza sia della società che delle famiglie sempre più evanescenti e disfunzionali di oggi. Proporre loro dei modelli diversi, dei valori spesso sconosciuti e degli stimoli per rendere migliori sé stessi e il mondo dove vivono, veicolati attraverso la scuola, che si sostituisce un po’ alla società latitante, essendo docenti adulti, che riequilibrano i rapporti intergenerazionale spesso molto compromessi nelle famiglie moderne, rende l’insegnamento pur sempre il lavoro più bello e importante che esista.

Cosa reputa di davvero importante nel suo modo di vivere, nel suo rapportarsi con gli altri?

Credo di essere uno che sa osservare e ascoltare. L’ascolto e l’osservazione sono qualcosa di essenziale ma in molti non lo hanno ancora capito. Ho viaggiato moltissimo, abbastanza per comprendere che tutto cambia cambiando il punto di osservazione. Sforzarsi di andare oltre i confini della propria esperienza aiuta ad allargare i propri orizzonti. Ma per comprendere ciò occorre cultura e l’uomo colto sa che quello che ancora non sa e che c’è da sapere, è infinitamente di più di quello che già sa; in sintesi l’uomo colto crea ponti, quello stolto crea muri.

Lei ha passato anche un periodo, possiamo dire “brutto” a causa di una malattia. Riflettendo su quei momenti, come li vede oggi?

Rientrando concretamente nel mio pensiero “La vita è quello che ci capita e la differenza sta nel come decidiamo di viverlo” posso dire che, se non ci fosse stata molta sofferenza e se non avessi rischiato di tornare al Creatore diverse volte, esistono molti motivi per cui sono grato per l’esperienza vissuta. Non per niente, nonostante tutto, è proprio durante quel periodo che ho deciso di scrivere, anche se non avevo nessuna certezza che il giorno dopo sarei stato ancora in grado di scrivere le pagine successive.

Nella parte finale del libro, dedico diverse pagine a queste considerazioni e, tutto sommato, è anche questo un buon motivo per leggerlo, specialmente per tutti quei guerrieri che come me sono scesi in campo per combattere la battaglia più dura della loro vita. A loro dico: “Coraggio, vale la pena di lottare e non lasciarsi andare fino all’ultimo, perché nel frattempo le cose possono anche cambiare“.

Qual è il messaggio che tiene a inviare, in particolare alle giovani menti con cui si trova a dialogare costantemente?

Mi piace molto far capire loro l’importanza del mettere impegno in ciò che facciamo perché non è sempre quello che facciamo, ma spesso come lo facciamo, che ci rende felici. Mi piace far comprendere loro l’importanza della rinuncia, del sacrificio, della dedizione, della perseveranza e dell’attesa, che servono per costruire delle persone migliori. Queste saranno i cittadini di un mondo migliore che sta proprio a loro costruire. Mi piace molto far capire che i modelli che prendono di riferimento sono spesso effimeri, privi di valori e di contenuti e che non sono in grado di colmare i vuoti che vivono, ma anzi, glieli amplificano ulteriormente.

Mi piace molto fargli apprezzare i contenuti e la sostanza di ciò che vedono, insegnando loro ad andare oltre le apparenze, per saper costruire una propria capacità di ragionamento e formare un proprio pensiero personale. Mi piace molto far capire loro che è più frequente sbagliare che riuscire, fallire che vincere, ma non per questo si è meno forti, perché in fondo è proprio il sapersi rialzare e riprendere il cammino è ciò che più ci rende forti.

Grazie per essere stato con noi!

Sono io a ringraziare voi e un augurio di buona vita a tutti!

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Sissi Corrado

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