Recensione: Edith Piaf, al Teatro della Cometa
In scena al Teatro della Cometa, fino al 3 febbraio c’è “EDITH PIAF, l’usignolo non canta più”. Regia di Daniele Salvo, con Melania Giglio e Martino Duane.
Lo Spettacolo è stato scritto dalla stessa Giglio, che non imita, ma interpreta, fa sua, la Piaf. Una donna piccola, minuta, che visse una vita, breve ma intensa, contornata da dolori, dispiaceri e dissolutezza e con una voce strepitosa. Edith Piaf è in nome di scena, piaf, nell’argot francese, lo slang parigino per capirci, significa uccellino. Perché lei era così, piccola, minuta, ma con una voce graffiante, roca, strepitosa.
Lo spettacolo si apre con Martino Duane che, nelle vesti del direttore dell’Olympia di Parigi, Bruno Coquatrix, chiede un appuntamento alla grande diva. Duane/Coquatrix viene accolto nella casa della Piaf, da lei stessa definita il mio sarcofago; un divano, una poltrona e un tavolo con le sedie, prettamente anni 50, cupa, scura, a cura della scenografa Fabiana di Marco.
Coquatrix e la Piaf, insieme ripercorrono le tappe della sua non facile vita. La Piaf, figlia di una cantante di strada e di un contorsionista, viene cresciuta da due nonne; una, ammaestratrice di pulci e l’altra, tenutaria di bordello. La sua carriera inizia ad 8 anni cantando su un marciapiede, dove chiedeva la questua con il padre, la Marsigliese. Dopo vari anni di strada e di disavventure, viene notata da Luis Leplèe e da lì parte la sua carriera costellata da grandi successi come La vie en rose, o Hymne à l’amour, scritta per il suo grande amore, per poi passare a Milord.
I due continuano a ricordare le amicizie, e le persone che lei ha aiutato, Yves Montand, Charles Aznavour, Eddie Constantine sono solo alcuni dei nomi. E poi arriviamo all’ultimo periodo, quello che vede “l’uccellino” per come è ora, piccola, con pochi capelli, piegata nel corpo da un artrite reumatoide, con dolori a respirare a causa di costole rotte per un incidente e con alle spalle due coma etilici.
Eppure ancora grintosa, spavalda, sprezzante e a tratti volgare, che viene convinta da Coaquatrix, ad un altro, un ultimo concerto, che serve a lui, per tirare su le sue sorti e a lei, per far vedere cosa ancora riesce fare la Piaf. E da qui nasce l’ultima esibizione a l’Olympia, in scena dall’inverno del 1961 alla primavera del ‘62. Un successo senza tempo. Scandito da tutte le sue canzoni, in particolare “ Non, je ne regrette rien” (non rimpiango niente).
L’autrice e attrice dello spettacolo Melania Giglio è grandiosa. Rappresenta benissimo questa donna piena di vita e di dolori, nell’ultima parte della sua vita. Recita gobba, a gambe aperte e storte e con le dita delle mani piegate, segni inequivocabili dell’ artrite reumatoide di cui era affetta la Piaf, e con una voce bellissima. Interpreta le canzoni in maniera eccelsa, e molte di quelle fatte in scena, sono cantate a cappella. La sua interpretazione non è, come già detto inizialmente, un’imitazione della cantante, ma un interpretazione di questa.
E proprio questa differenza fa si che l’anima, le sofferenze, gli amori, la gioia di vivere, le sue canzoni, la sua voce, diventino fruibili, tangibili,veri. Il tutto viene accresciuto, incorniciato, dalla recitazione di Martino Duane, grandissimo attore, che sottolinea, dà spunti, duetta con la Giglio a suon di parole e movimenti.
Gli articoli pubblicati sul Blog sono scritti dai Soci dell’Associazione in maniera volontaria e non retribuita. RIPRODUZIONE RISERVATA © Copyright CulturSocialArt