Tutto su mia madre il capolavoro di Pedro Almodòvar

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Un capolavoro amato da pubblico e critica

Probabilmente lo è anche perché scaturisce dalla sua attenta analisi del mondo femminile e rappresenta la sua evoluzione lavorativa.

Manuela ha un figlio, Esteban che viene accidentalmente investito da un’attrice la sera in cui rientrano dopo aver assistito allo spettacolo “Un tram chiamato desiderio” dove lei era protagonista. Poiché la donna non aveva mai rivelato al figlio chi era suo padre, decide di esaudire questo suo ultimo desiderio e si reca a Barcellona, dove il padre di suo figlio, che si chiama Esteban come lui, ora si fa chiamare Lola, e vive da travestito. Manuela, incontrerà un mondo “diverso” che poi, tanto diverso non è e comincerà ad affezionarsi a tutte le persone che incontrerà. La sua storia si intreccerà con Agrado, Nina, Huma, Rosa, tutti personaggi che raccontano il mondo di Almodòvar, un mondo fatto di fantasia, dolcezza, umanità.

Il regista racconta senza paura di estremizzare, la sua tesi, trasportando sullo schermo personaggi e situazioni portati all’estremo, ma che riescono a raccontare l’umanità nel proprio essere.

È un film dove le protagoniste sono le donne e dove la figura maschile è marginale, nel pieno stile di Amodòvar che ha saputo e sa raccontare l’universo femminile in tutte le sue eccezioni. Lontano dal melodramma americano, il regista punta sull’ironia come il positivo mezzo per superare il dolore, anche quello più intenso.

Ma qui si evidenzia anche l’amore del regista per la filmografia attraverso gli omaggi che fa all’interno del film. Per esempio la scena della morte di Esteban riprende quella del film “La sera della prima” (Opening Night) del 1977 diretto da John Cassavetes e interpretato da Gena Rowlands dove Myrta, la protagonista cinquantenne, colpita dalla morte di una fan, entra in crisi.

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Questo non è il solo omaggio del cineasta. All’inizio del film madre e figlio stanno guardando in tv “Eva contro Eva” (All About Eve) un film del 1950 con Bette Davis, da cui deriva anche il titolo del film.

Lo spettacolo “Un tram che si chiama Desiderio” di Tennessee Williams del 1947 e vincitore del Premio Pulitzer per la drammaturgia, è citato a più riprese: Huma e Nina lo recitano sia a Madrid che a Barcellona.

Anche il monologo di Agrado è ispirato all’esperienza vera capitata all’attrice Lola Membrives, a questo punto il riferimento a Esteban come Lola non ci permette di aver dubbi. L’attrice doveva esibirsi in un teatro, ma saltò la corrente. Il regista sospese lo spettacolo, ma l’artista invitò gli spettatori a restare; in cambio lei avrebbe raccontato la storia della sua vita.

Il finale è particolarmente significativo e toccante. È un omaggio e al tempo stesso una dichiarazione d’amore alle donne, alla maternità non solo biologica e, ancora una volta al cinema, del quale il regista non può proprio fare a meno. Tutto ha inizio con il ricordo di Romy Schneider, Gena Rowland e Bette Davis, delle quali Almodòvar è fortemente attratto, tanto da essere presenti nei suoi film.

Interpretazioni incredibili da parte delle attrici, tra cui figura quella della protagonista, Cecilia Roth, ma non sono da meno le altre interpreti, Penélope Cruz, Marisa Paredes, Candela Peña, Antonia San Juan. Il regista ama lavorare con le stesse attrici, che per lui diventano delle muse ispiratrici, capaci di portare sullo schermo i suoi pensieri.

Vincitore del premio Oscar come miglior film straniero nel 2000, fu annunciato da due attori spagnoli: Penelope Cruz e Antonio Banderas emozionatissimi per aver avuto l’onore di premiare un grande artista.

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Sissi Corrado

Responsabile del Blog Interessi tanti: lettura, scrittura, teatro, cinema, musica, arte, collezionismo, sociale, ecc.

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