Alessandro Giuliani al Trittico d’Artista

Alessandro Giuliani si racconta sulle nostre pagine

Il 20 gennaio 2024 alle Officine Beat, Alessandro Giuliani ha esposto il suo trittico, Germogli durante il format Trittico d’Artista selezione personale di opere in mostra, ideato e curato da Andrea Alessio Cavarretta. Il suo è stato un approccio con colori malinconici, fino all’esplosione degli stessi. E sono proprio questi ultimi i protagonisti delle opere e che colpiscono i presenti. Forti, delicati, decisi, non si disperdono e lasciano una visione di quello che l’artista vuole comunicare: la natura.

Conosciamo meglio Alessandro Giuliani andando a porgli alcune domande sulla sua arte, sulla sua passione e sulla sua vita.

Ciao Alessandro, com’è nata la tua passione per l’arte?

Ciao, non saprei dire come sia nata.  È una passione, un istinto che ho avuto da sempre, inizialmente nato con la curiosità di riprodurre soggetti con il disegno. Ho sempre avuto un’attenzione visiva verso quello che mi circonda: guardo e riproduco quello che vedo. Penso che questo sia stato l’inizio di tutto.

Quali erano i tuoi artisti preferiti durante il periodo scolastico?

Durante il periodo scolastico i miei riferimenti sono stati fumettisti come Moebius, Sergio Toppi, Manara…

Chi di loro ti colpito maggiormente e perché?

Sicuramente Sergio Toppi. Per le architetture surreali delle sue tavole, per l’uso magistrale delle texture, per l’attenzione al dettaglio, per i mondi e le atmosfere che crea, per il senso onirico che ogni suo lavoro trasmette.

Dalla scuola alla realizzazione artistica. Qual è stato il tuo primo lavoro artistico?

Ho difficoltà ad individuare il mio primo lavoro artistico. Come ogni persona che inizia a prendere in mano una matita o un pennello, i primi lavori sono stati riproduzioni di immagini, inizialmente a mezzatinta con matite e successivamente con la pittura.

Cosa pensava la tua famiglia della tua passione?

Hanno appunto sempre pensato fosse una “passione”, che andava quindi coltivata fuori dagli impegni istituzionali (scuola, lavoro); una sorta di hobby. Motivo per cui, seguendo la mia inclinazione, non ho potuto iscrivermi al liceo artistico come avrei voluto, ma sono stato dirottato verso un istituto tecnico (con più possibilità lavorative, si diceva). Disegnavo la sera e la notte, unici momenti di tranquillità dove poter stare con me stesso; la notte dà la sensazione di avere un pozzo infinito di tempo per fare cose.  La storia ha dato ragione a me, ho disatteso molte cose, ma non ho mai abbandonato la mia passione.

Quali erano le emozioni, le motivazioni che ti portavano a disegnare sui banchi di scuola?

Disegnavo letteralmente sul mio banco, a matita; la mattina dopo lo trovavo pulito e iniziavo di nuovo. Un foglio verde infinito sempre immacolato. Quei disegni rappresentavano una sorta di continuazione spazio temporale con la sera precedente, uno stato emotivo necessario per estraniarmi da quello che mi circondava. Delegavo la mia presenza alla mano che disegnava ciò che voleva.

Cosa ti porta, invece oggi, a metterti davanti ad una tela?

Ho iniziato a dipingere su tela per avere libertà dai vincoli delle commissioni. Le motivazioni che mi portano a dipingere sono sempre legate all’azione del fare e non al risultato; una sorta di esigenza fisiologica, un bisogno di stare con me stesso.

Il 20 dicembre hai presentato la tua personale in Trittico d’Artista. Che cosa rappresentano e hanno rappresentato le tre opere che hai esposto?

Per il Trittico d’Artista ho ritenuto di esporre qualcosa che rappresentasse me stesso e il mio percorso degli ultimi anni di attività, quelli in cui ho iniziato a dedicarmi alla pittura su tela. Le tre opere sono legate tra loro da un filo cronologico, stilistico ed emotivo che evidenzia lo stato iniziale più intimista, raccolto e lo stato di apertura finale con un una ricerca quasi disincantata di forme e colori.

Perché hai chiamato il tuo trittico Germogli?

Tutta la mia produzione prende spunto da ciò che mi circonda, in particolare da temi naturalistici che reinterpreto nelle forme ipotizzando possibili trasformazioni che un germoglio, un arbusto, un’infiorescenza potrebbero assumere. Il germoglio rappresenta un inizio di vita, una linfa vitale che prelude ad un ulteriore sviluppo di percorsi inaspettati. Mi sembra un titolo appropriato per le tele presentate.

Abbiamo detto che a Trittico d’Artista hai portato tre opere su tela, qual è la tecnica che utilizzi per realizzare le tue opere?

Utilizzo pigmenti e terre in polvere con un legante acrilico, lavorati direttamente su tela in modo da avere consistenze differenti e più materia.

A quale dei tre quadri esposti ti senti più legato e perché?

Domanda difficile; in ogni tela c’è un pezzo di me ed ognuna ha un valore diverso. Dovendo necessariamente dare una risposta, tra le tre opere esposte direi la prima (cronologicamente parlando); è nata da un approccio istintivo, avevo la curiosità di sperimentare nuovi materiali e la tela ha preso forma di getto, senza alcuna premeditazione.

Com’è andata la serata alle Officine Beat? Quali sono stati i commenti che ti hanno maggiormente colpito e fatto riflettere?

È stata una bellissima e coinvolgente esperienza, grazie alla professionalità e alla disponibilità di chi ha lavorato all’evento. Mi interessano sempre i commenti sui miei lavori. Sono curioso di sapere cosa mi torna indietro, cosa vedono gli altri e quali sono i motivi per i quali una tela piace più dell’altra.

Nella tua crescita artistica, hai imparato ad utilizzare varie tecniche, che ti hanno portato a realizzare lavori diversi: illustrazioni, etichette, scenografie, ecc. Qual è stato il lavoro che ha richiesto maggior impegno e perché?

La mia voglia di sperimentare e le opportunità che mi si sono presentate mi hanno portato ad affrontare esperienze in più campi artistici, dall’illustrazione, alla grafica, alla scenografia e sicuramente la più impegnativa è stata quest’ultima. Ho lavorato come pittore decoratore per produzioni e laboratori scenografici dove le difficoltà maggiori erano date dalla velocità di esecuzione dettata dai tempi di consegna e dai tempi frenetici di lavorazione. Tendenzialmente, comunque, come in tutte le cose, le energie maggiori le spendi per capire cosa fare in relazione alla destinazione finale dei lavori, cercare di capire cosa ci si aspetta dai tuoi lavori e aggiustare il tiro di conseguenza.

E quello, invece, che sei riuscito a realizzare con maggior facilità?

Non ho mai incontrato particolari difficoltà nel fare i miei lavori. Sperimento e procedo per avvicinarmi a quello che ritengo alla fine un buon prodotto. Credo che la bellezza di una cosa (una tela, un disegno, una partitura musicale, un’opera) sia data fondamentalmente dall’idea che la sorregge, da quello che c’è dietro e che la porta a nascere. Questo è un valore oggettivo. Questo pensiero lo applico a tutta la mia produzione artistica.

Oggi, guardando indietro, nel tuo lavoro artistico, hai più rimpianti o soddisfazioni? Cosa avresti cambiato nel tuo percorso?

Ho sempre avuto in tutto quello che ho fatto un approccio “di pancia”, che mi ha portato ad immergermi completamente in quello che facevo e che mi porta a non avere particolari rimpianti. Sono riuscito sempre ad assecondare le mie passioni e a farle diventare, non sempre, socialmente riconoscibili. Forse, avrei potuto insistere e continuare in qualche attività abbandonata prematuramente, senza saltare da un settore all’altro e lasciare sedimentare qualche esperienza in più. Ma sono ben contento di quello che il mio variegato trascorso mi ha portato ad essere oggi.

Qual è l’opera che hai visto e che avresti voluto realizzare tu?

Il San Girolamo di Caravaggio; fu il primo quadro che disegnai a matita su carta all’età di 13 anni.

L’arte è espressione delle meraviglie del mondo. Cosa dipingeresti su tela per rappresentare quella che, secondo te, è l’espressione più reale delle meraviglie?

Dipingerei la vita, un groviglio inestricabile di forme che si avvicinano, si allontanano e si aggrovigliano tra loro senza un inizio ed una fine. Una sorta di Giudizio Universale del regno vegetale.

Cosa consiglieresti ad un giovane artista, che si appresta a dedicarsi alla sua passione?

Di liberare la testa e di lasciarsi andare a qualsiasi libertà artistica, senza pensare a lungo termine a come capitalizzare il proprio lavoro. Prendersi la libertà di sbagliare e di sbagliare ancora. Avere il piacere di fare qualcosa che ha il suo valore nell’istante esatto in cui lo fai.

Mi piace chiudere le lunghe interviste come questa, con una domanda che reputo significativa: qual è il tuo sogno nel cassetto?

Non rinunciare alle emozioni e continuare ad emozionarmi sempre, con la persona che più mi emoziona, Sara.

Grazie per essere stato con noi!

Grazie a voi per avermi fatto vivere un’esperienza così coinvolgente, a tutti quelli che hanno lavorato per realizzarlo: Andrea Alessio Cavarretta, Giovanni Palmieri, Sissi Corrado, Stefania Visconti, Rosario Schibeci, Officine Beat e a tutti gli ospiti che sono intervenuti.

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Sissi Corrado

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