Convegno Anpi Palestrina su “Storie resistenti. Roma e i Monti Prenestini”

 

Il 12 dicembre, nel giorno del ricordo della strage di Piazza Fontana,  si è svolto un incontro organizzato dalla sezione Anpi di Palestrina su “Storie Resistenti. Roma e i Monti Prenestini”, a cui hanno aderito il Comitato Provinciale di Roma, le sezioni di  Genazzano e di Esquilino Monti Celio di Roma. Hanno partecipato all’incontro, moderato da Chiara Ponzo, presidente di Anpi Palestrina, gli storici Davide Conti e Roberto Salvatori. L’occasione di questo incontro, che a causa del covid si è tenuto on line, è stata originata da un precedente incontro, questa volta in presenza, dove è stato presentato, a cura del Circolo Culturale Prenestino Roberto Simeoni, il libro della giovane storica di Zagarolo, Chiara Raganelli, alla presenza di Livia Turco, presidente della Fondazione Iotti, “Amore e politica nella vita di Nilde Iotti”. Raganelli nella prima parte del libro ci parla della sua intensa vita politica che si andata ad intrecciare con la sua vita privata, l’amore per Palmiro Togliatti, segretario del Partito Comunista Italiano. Nella seconda parte il libro racconta la storia della bisnonna, partigiana combattente nel ruolo di staffetta, come Nilde Iotti,  che operava tra Zagarolo e Palestrina. Raganelli parlando della bisnonna ha posto in risalto il ruolo che le donne hanno avuto nella Resistenza, ruolo fino a non molto tempo fa misconosciuto, se lo stesso Togliatti in occasione della sfilata del 25 aprile sconsigliava la presenza delle partigiane “perché il popolo non avrebbe capito”.

E’ stata un’occasione per conoscere la storia della resistenza nella zona sud est di Roma,  con riferimento alla storia della Resistenza romana e permettendo anche di conoscere i tanti uomini e donne che  in un momento buio della nostra storia, il periodo che va dall’8 settembre 1943 al 25 aprile 1945, hanno gettato i loro cuori oltre l’ostacolo mettendo in gioco la loro vita per un’ideale di libertà e democrazia.

Si dice che l’identità di un popolo si costruisce intorno ai luoghi della memoria. E sicuramente per la città di Palestrina il luogo delle memoria è un casolare in località Vigesimo dove il 28 maggio 1945 furono massacrati per rappresaglia 11 cittadini. Della storia del massacro ne ha dato testimonianza Vittorio Perin, Presidente onorario di Anpi Palestrina,  autore della “Ballata degli XI martiri”. 

Scrivevo all’inizio che l’incontro è avvenuto in un giorno che a ben ragione entra a far parte dei luoghi della memoria, quello della strage di Piazza Fontana, a cui Pasolini si ispirò quando un anno prima di morire (2 novembre 1975) scrisse “IO SO” e che oggi leggendo il libro di Simona Zecchi “L’inchiesta spezzata di Pier Paolo Pasolini” ben si comprende come la storia italiana dal 1945 fino agli anni ottanta sia stata “sporcata” da uomini che provenivano dal passato regime e che per effetto di una mancata defascistizzazione (qualcuno lo chiama il mancato “processo di Norimberga” italiano) hanno continuato a svolgere le loro funzione anche nelle istituzioni repubblicane, come, ci ha ricordato Davide Conti, parlando del questore Guida di Milano che era stato durante il regime fascista commissario nell’isola di Ventotene dove venivano inviati “in villeggiatura” gli oppositori del regime, e che oppositori! Sandro Pertini, Luigi Longo, Umberto Terracini, Giorgio Amendola, Lelio Basso, Eugenio Colorni, Camilla Ravera, Giuseppe Di Vittorio, Altiero Spinelli, Ernesto Rossi, solo per citarne alcuni.

La storia di questi e di tanti altri uomini e donne, le loro gesta patriottiche, le loro sofferenze devono esserci di monito  e non farci mai dimenticare che la nostra libertà e i diritti di cui godiamo sono il frutto della lotta di liberazione dal nazifascismo, di quella Resistenza da cui nacque la nostra Costituzione. Sono trascorsi ormai 75 anni da quel lontano 25 aprile e purtroppo giorno dopo giorno quelli che allora furono i protagonisti stanno scomparendo.

E qui voglio ricordare l’ultima partigiana che ci ha lasciato, Lidia Menapace, e vorrei ricordare come rispose a chi la presentava come “ex partigiana”:

Scusi, io non sono ex, io sono ancora partigiana”.

Noi un po’ più giovani, figli della Resistenza, potremmo dire che siamo “apprendisti partigiani”. E allora  tutti noi dovremmo impegnarci a diventare partigiani, o almeno apprendisti. E anche un incontro come quello che si è svolto a Palestrina può essere un motivo di speranza.

Ma non basta.  

La morte della partigiana Lidia Menapace, va a svuotare ancora di più quel baule di ricordi e testimonianze di un’epoca contraddistinta dalla lotta partigiana e dalla Resistenza al nazifascismo.

E il libro di Chiara Raganelli ci aiuta soprattutto nella parte che riguarda la sua bisnonna Cliseide, a mantenere viva una microstoria, quella di una donna partigiana, staffetta come Nilde e Lidia,  che si svolge avendo come sfondo la resistenza romana, via Rasella, le fosse Ardeatine e le tante azioni partigiane che si svolsero nell’area prenestina.

Raganelli ci parla di questa sua bisnonna, donna dell’UDI, donna del popolo quasi analfabeta ma che non disdegna di stare accanto a donne “politiche” ed “intellettuali” come Nilde e Lidia. 

Questo incontro è stato un momento di “memoria collettiva” come ci ricorda Marc Bloch cosa ben diversa da quella “memoria condivisa” troppe volte evocata da un revisionismo storico pronto ad azzerare le differenze. Come scrive lo storico Sergio Luzzatto: “l’una (la memoria collettiva, ndr) rimanda ad un unico passato, cui nessuno di noi può sottrarsi e che coincide appunto con la nostra storia; mentre l’altra (la memoria condivisa, ndr) sembra presumere un’operazione più o meno forzosa di azzeramento delle identità e di occultamento delle differenze. Il rischio di una memoria condivisa è una “smemoratezza patteggiata”, la comunione nella dimenticanza” (pag. 23)

Papa Francesco ha recentemente affermato a proposito dell’ambiente che “non si può rimanere sani in un mondo malato”. E questo sicuramente vale in un mondo dove i testimoni di quel periodo vengono a mancare e contemporaneamente – nel nostro paese, e nel resto dell’Europa – rinascono e riaffiorano organizzazioni dichiaratamente neofasciste e neonaziste. Il mondo è sicuramente malato, e non solo per effetto di un virus pandemico, se vediamo diffondersi, come un virus appunto, messaggi di odio verso ciò che viene considerato diverso: razzismo, xenofobia, omofobia, transfobia, sessismo e violenza di genere. Il fascismo nostro contemporaneo potremmo dire che assume queste forme. Utili, anzi fondamentali sono incontri come questo che ci parlano di storia, ma come per il virus pandemico, anche il virus dell’odio ci impone a noi “apprendisti partigiani” di affrontare tutti l’immane compito della transizione a un sistema diverso, che fra i tanti compiti, si assuma anche quello di togliere l’acqua dentro cui si riproducono i “nuovi fascismi”. La nascita di nuove sezioni dell’Ampi, i tanti giovani che a queste si avvicinano, fa rinascere la speranza che il discorso politico non è chiuso, che l’individualismo alimentato da decenni di politiche neoliberiste, si può sconfiggere se prendiamo coscienza che ciascuno di noi esiste in quanto essere sociale, in quanto parte di una collettività. Ce lo ricorda bene Don Milani “Affrontare i problemi da solo è l’avarizia, affrontarli tutti insieme è la politica”. Parlare di fatti ormai lontani è importante, ripeto, ma non è sufficiente. Il venire meno dei testimoni priverà le nuove generazioni di  leggere il dolore dalla voce, dai corpi di persone in carne ed ossa (penso ancora a Lidia Menapace, ma anche a Liliana Segre, che porta sulla sua carne il “numero” dell’orrore). E allora a chi rimane spetta il compito, anche in un momento in cui viene svalutato lo studio della storia, di mantenere vivo il sapere, il raccontare, lo studiare e il far studiare. Insomma spetta ad una associazione come l’Anpi quella di creare occasioni di formazione e dibattito, usando anche la Rete, e soprattutto quello di non tacere di fronte agli allarmi che risuonano. Il nostro futuro dipenderà molto, se non tutto, da come noi oggi sapremo affrontare i pericoli vecchi e nuovi che ci si presentano. E certo non è sufficiente ripresentare il vecchio schema “fascismo-antifascismo”, dialettica a cui ci spingono i nostri avversari. Il nostro compito è quello di superare l’antifascismo come unico fattore identitario, ma forti della nostra eredità “resistenziale” essere in grado di chiudere definitivamente con il dopoguerra. La fortuna di essere nati dopo la caduta del nazifascismo, non ci esonera dall’assumerci la responsabilità di quel passato anche nella prospettiva futura. Noi abbiamo il compito di decidere chi siamo e da dove veniamo, e convegni come questi ne sono la testimonianza. Noi abbiamo l’obbligo che la storia passata non anneghi in un indifferenziatismo in cui “tutte la vacche sono nere”,  e la vicenda europea del mettere sullo stesso piano “nazismo” e “comunismo” è lì a ricordarcelo e, venendo a noi, ai teorici della morte delle ragioni della destra e della sinistra. Perché dobbiamo sempre tenere ben presente che il nostro futuro si forma sulle tracce del nostro passato e su quanto decideremo di conservare o cancellare.

Per concludere ritorno a Pasolini quando parlando della scomparsa delle lucciole ci parlava della scomparsa dei fascisti. E oggi questo sembra diventato un tormentone dei sovranisti e fascio leghisti. Il “fascismo” e i “fascisti” certo sono ormai materia dei libri di storia, ma sicuramente oggi sta nascendo un nuovo “ismo” a cui ancora non riusciamo a dare un nome ma i cui componenti sono tutti davanti a noi: il patriottismo anche in una sua forma mistica (croci, rosari e madonne sbandierate in riunioni politiche), il dominio del mercato dell’economia neoliberista, le migrazioni lette come scontro di civiltà (immigrazionismo, invasione, sostituzione etnica). Non sarà certo un nuovo fascismo, ma sicuramente una forma di “totalitarismo democratico” o come già possiamo vedere in Ungheria con Orban con la sua “democrazia illiberale”, dove la globalizzazione economica finisce per coincidere con l’occidentalizzazione politica e culturale, e attraverso le guerre da quelle reali a quelle economiche che ormai toccano decine  di paesi grandi e piccoli, asiatici o africani finiscono per restringere e privatizzare le libertà civili (Libia, Egitto e Iran ne sono esempi).

Per chi volesse approfondire:

Davide Conti: Guerriglia partigiana a Roma. Gap comunisti e Sac azioniste nella capitale 1943-1944, Odradek, 2016

Davide Conti: L’Italia di Piazza Fontana, Einaudi, 2020

Roberto Salvatori: Guerra e Resistenza a sud di Roma (Monti prenestini e alta Valle del Sacco (8 settembre 1943-5 giugno 1944), Annales

Simona Zecchi: L’inchiesta spezzata di Pier Paolo Pasolini, Ponte delle Grazie, 2020

Sergio Luzzatto: La crisi dell’antifascismo, Einaudi, 2004.

La registrazione integrale dell’incontro è visibile sulla pagina facebook di Anpi Palestrina.

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Roberto Papa

“Ci sedemmo dalla parte del torto visto che tutti gli altri posti erano occupati”. (Bertold Brecht)

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