Francesca Targa racconta Sebben che siamo donne

Il femminismo nello spettacolo di Francesca Targa

Si parla di femminismo, di donne, di uguaglianza nello spettacolo Sebben che siamo donne, scritto da Francesca Targa, con in scena la stessa autrice insieme a Floriana Corlito, Lucia Ciardo, Massimo Folgori, Elisa Mascia, Matilde Tursi per la regia di Gabriela Alejandra Praticò in scena al Teatro Trastevere di Roma dal 13 al 15 dicembre.

Un testo che parla di donne, di coraggio, di impegno, di sacrificio e in particolare di donne nell’ombra, quelle di ogni giorno, quelle che non riescono a veder riconosciuto il proprio lavoro, le proprie idee, il loro impegno, solo perché donne. di questo ed altro ho parlato con l’autrice Francesca Targa che ringrazio per essere qui.

Sebben che siamo donne parla di femminismo, ma in modo più ampio di quello che propongono gli stereotipi di genere. Lei ne è l’autrice, quali sono i suoi obiettivi?

In primis invitare il pubblico a porsi delle domande, tipo: “È ancora necessario parlare di violenza di genere? Il femminismo è il contrario di maschilismo? Esiste davvero questa “sorellanza tra le donne, o sono proprio loro le prime aguzzine di sé stesse?…”.

In secundis vorrei che, attraverso la storia di grandi e dimenticate donne del passato, si arrivasse a capire davvero la nostra grandezza, il nostro valore, il nostro coraggio, la nostra forza, che vanno ben oltre i ruoli sociali che ci sono assegnati e che il femminismo è stato ed è un movimento che libera tutti, donne e uomini, anch’essi vittime di alcuni stereotipi legati al femminile duri a morire.

Parlare di problematiche è sempre utile, dovrebbe far riflettere. Oggi però, sembriamo assuefatti su alcuni argomenti, che passano attraverso immagini, servizi, notizie, un po’ come la guerra di cui vediamo tanto ma che non sentiamo più. Dovremmo cambiare il modo di parlarne?

Serve un cambiamento culturale per sconfiggere certi stereotipi. E se sulla cultura è necessario incidere affinché di violenza di genere non sia più necessario parlare, di donne uccise per mano di compagni, ex o familiari, non sia più necessario raccontare la storia, allora sono gli strumenti culturali che vanno utilizzati perché il messaggio sia davvero efficace. A partire dal teatro.

Il teatro non è solo una performance, è una vera e propria esperienza collettiva, ci aiuta a connetterci in un’unica emozione e apre a una serie di domande a cui, insieme, possiamo dare delle risposte. Così si crea quel contagio reciproco, si creano gli anticorpi che possono contribuire a sostenere il cambiamento rispetto ad alcune storture che sono sotto gli occhi di tutti.

Nello spettacolo in scena si parlerà di donne che anche la storia ha messo da parte, relegandole a mogli di lasciando i meriti agli uomini. Quali sono le figure che porterete in scena e quali sono le loro importanze storiche?

Scegliere solo alcune delle molte donne che hanno avuto vite straordinarie e coraggiose è stato difficile, ma alla fine ho optato per figure della nostra tradizione, eccezion fatta per la celebre Isadora Duncan, pioniera di un nuovo genere di danza e di alcune scelte di vita estremamente moderne delle quali pochi sanno.

Accanto a lei sul palco vedremo la scrittrice Sibilla Aleramo, autrice fra le altre cose, del romanzo Una donna, divenuto manifesto del movimento femminista. Piscopia, la prima donna laureata della storia che alla fine del 600’ fece parlare di sé il mondo intero e della quale oggi non si sa nulla.

Elena Angeloni, attivista politica di sinistra che morì per salvare dalla dittatura un Paese a lei straniero, la Grecia e che sarà incredibilmente legata, post mortem, ad un altro giovane italiano morto per una causa civile. Ma accanto a queste grandi figure del passato, troveremo anche donne di oggi che si interrogano su temi importanti e controversi come l’uscire da sole la notte o la maternità, voluta e non.

Nonostante la storia ci porti a conoscenza di figure femminili che hanno attraversato i secoli e che spesso sono state messe da parte dagli uomini, le stesse non hanno mai perso il coraggio di combattere. Qual è la vera forza delle donne? Quale, invece, la sua debolezza?

Negli ultimi anni le donne denunciano con rabbia, oppure lamentano, l’insopportabilità della loro condizione, ma poi inspiegabilmente sembrano piuttosto riluttanti a modificarla. Anche tra le donne più impegnate la sensazione è spesso di immobilità. Nelle grandi istituzioni (partiti, sindacati, ecc.) la loro presenza è tutt’altro che trascurabile, ma non si può dire lo stesso della loro visibilità.

Non credo ciò avvenga solo per sottomissione al potere maschile, credo ci sia altro a cui dobbiamo guardare, qualcosa che le donne sono poco disposte ad ammettere. Se è necessario perseguire mete importanti come diritti, pari opportunità, ecc., non meno importante è parlare del rimosso delle donne, di ciò che non dicono, di quello che ancora si vergognano a denunciare. Come ad esempio quel senso di colpa che ci si porta ancora dietro, tanto da colludere con la violenza, a tutti i livelli.

Ma è solo l’umiliazione che resta sepolta tra le mura domestiche, o anche il sentimento della propria indispensabilità all’altro, l’idea di essere portatrici di valori che potrebbero rigenerare il mondo, se solo fossero ascoltati? Sibilla Aleramo già all’inizio del secolo scorso, aveva colto la discrepanza tra la pretesa logica e giusta di uguali diritti civili e politici e il desiderio intimo della donna.

Dove sta allora l’ambiguità di quel groviglio di forza e di debolezza, di potenza e insignificanza, che ogni donna sembra incarnare ogni qualvolta diventa per il suo uomo lo specchio indispensabile perché possa riprendere sicurezza e fiducia in se stesso? È uno strano potere quello che spinge la donna a prodigare le proprie energie per il benessere altrui.

Ancora più rimosso di questo potere è il sogno d’amore, l’illusione di poter ricreare attraverso la riunificazione di qualità che l’uomo ha voluto opposte e complementari – il corpo e il pensiero, i sensi e la ragione, la tenerezza e la forza, ecc.- l’appartenenza intima a un altro essere, l’unità a due che è stata degli inizi della vita e che come un lungo sonno continua ad avvolgere la coppia.

Sarà in scena insieme a Floriana Corlito, Lucia Ciardo, Massimo Folgori, Elisa Mascia, Matilde Tursi, come ha lavorato con loro?

La nostra compagnia è fatta di attori professionisti, come Lucia Ciardo, e attori che nella vita devono districarsi anche in altre attività. Ci sono attrici di lungo corso e attrici più fresche e artisticamente ingenue che alternano una certa bulimia di spettacoli, di maggiore e minore qualità, ad una inesperienza di palco che solo il tempo e la scelta di registi giusti potranno far maturare. Questo conferisce alla nostra compagnia una varietà di brio, freschezza, sapienza e mestiere che rappresenta una preziosa fonte di stimoli e di sfide, sia per noi, che per la nostra regista.

La regia, invece, è di Gabriela Alejandra Praticò: che tipo di regista è? Cosa ha chiesto agli attori in particolare?

Gabry, come la chiamiamo noi, è una vera pasionaria. Il suo temperamento argentino e la sua esperienza nel dirigere storie di donne sono ben visibili nello spettacolo ed il suo apporto, arguto e preciso, è stato impagabile. Ha avuto il piglio, la costanza e la pazienza necessari a far crescere ognuno di noi.

Dicevamo, lei è l’autrice, ma anche interprete. Qual è stato il rapporto con chi ha diretto, da parte dell’autrice e poi dell’attrice?

Come autrice ho lasciato carta bianca a Gabry, per reciproca fiducia. La sua visione del testo mi ha aperto nuovi fronti e nuove idee ed è bello quando vedi una tua creatura crescere sotto la guida di un’altra persona. Un po’ come quando un figlio impara nuove cose grazie ad abili insegnanti.

Come attrice anche io, come gli altri, sono dovuta uscire un po’ dalla mia zona confort e credo non ci sia cosa più bella e utile per un attore di sperimentare nuove parti di sé. Anche i conflitti non sono mancati, ma sono necessari ai fini di un buono spettacolo.

Sebben che siamo donne, cosa rappresenta per lei?

Come autrice sono ormai diversi anni che scrivo per le donne, spesso monologhi che spaziano dal comico, alla stand up, sino al dramma più intimo. Negli ultimi anni però mi sono voluta provare nella scrittura di storie complete e, dopo il successo di Via Savoia, 31, basato su un fatto di cronaca della Roma degli anni 50’, ho sentito il bisogno di parlare di donne ancora più in profondità, perché vedo attorno a me molta poca solidarietà femminile e molta poca consapevolezza del proprio valore, a prescindere dalla classe sociale e culturale cui le donne appartengono.

Da donna, come vede il mondo femminile oggi e cosa spera per i prossimi anni?

La donna oggi è spesso indipendente, realizzata, colta, cittadina, non può più quindi sottostare al potere dell’uomo, marito o padre che sia. Eppure continuo a vedere molte donne scegliere il loro partner in termini di mantenimento economico. La donna che sceglie di non avere figli oggi può farlo, eppure è ancora vittima del giudizio delle altre e della società. Viene vista come egoista, anormale, strana…. E sono molte le donne single che, superati i quaranta, cercando disperatamente di avere un figlio più per tenere il passo con le altre che per un vero desiderio di maternità.

Molte donne poi utilizzano termini sessisti per offendere altre donne, senza rendersi conto che sono offese patriarcali senza senso e che se solo si sforzassero di evitarli, si accorgerebbero che ci sono offese e parole molto più adatte e precise che non quelle che minano la nostra libertà sessuale. Personalmente a volte fatico molto a muovermi in questi contesti e a far capire il mio messaggio, ma non demordo perché si tratta solo di risvegliarsi da un certo torpore e imparare ad essere solidali tra noi.

Ci inviti a venire a teatro: perché venire a vedere Sebben che siamo donne?

Per vivere e condividere insieme dubbi e certezze. Perché le protagoniste dei monologhi sono donne che hanno vissuto alcune delle cose che raccontiamo. Perché ci troviamo di fronte ad esperienze emotive e fisiche emozionanti. Ogni atto dello spettacolo rivela una nuova prospettiva sul tema della violenza di genere, senza forzature né enfasi.

Attraverso una narrazione coinvolgente e autentica, Sebben che siamo donne mira a stimolare la riflessione del pubblico e a promuovere la consapevolezza sui diritti delle donne, senza dimenticare l’importanza di combattere ogni forma di violenza e discriminazione, con semplicità e concretezza.

Grazie e in bocca al lupo!

W il lupo, ma soprattutto la lupa!

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Sissi Corrado

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