Ilaria Alpi, giustizia e amore per la verità
20 marzo 1994. L’Ansa annuncia che una giornalista italiana e il suo operatore sono stati uccisi in Somalia da un gruppo armato formato da sette persone. Immediatamente, dall’ambiente giornalistico, scatta la consapevolezza che l’omicidio dei due, Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, sia stato ordinato a causa delle inchieste sul traffico di armi e scorie radioattive su cui i due stavano indagando.
Gli ambienti politici, invece, sostenuti dalle vicende somale, siamo in pieno conflitto civile, accusano le frange somale, come mandanti dell’omicidio, per ritorsione, per sequestro. Qualsiasi cosa, ma non la realtà.
Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, stavano girando un documentario servendosi di alcune informazioni che la giovane aveva avuto anche grazie a un militare del SISMI, i servizi segreti italiani, Vincenzo Li Causi, sottotenente che era stato ucciso in Somalia nel novembre prima.
Le indagini che hanno seguito la morte della giornalista del TG3, eseguite da una Commissione parlamentare d’inchiesta, fanno riferimento ad una vacanza che i due avrebbero fatto in Somalia e dalla quale emerge che i due siano stati uccisi perché è andato male un tentativo di sequestro. Ma la loro è stata un’esecuzione vera, visto che entrambi sono stati uccisi con un solo colpo mentre l’autista e la guida, non sono stati colpiti.
Eppure ci sono molti lati oscuri della vicenda. In primis i due non erano li in vacanza, anzi stavano raccogliendo testimonianze, informazioni e video per la loro inchiesta, come documentato dal materiale pervenuto poi alla redazione e riportato in Italia. Ma ci sono anche le sparizioni di molti taccuini della Alpi, le sue annotazioni, incongruenze con i fatti e i racconti successivi di chi ha portato informazioni dalla Somalia. Anche l’ultimo video della Alpi che, secondo il sultano di Bosaso, intervistato dalla giovane, doveva contenere oltre due ore di girato, è stato riconsegnato con soli 35 minuti.
Tanti, troppi lati oscuri che negli anni sono sempre saltati agli occhi. Sotto la spinta di nuove informazioni e la richiesta di poter avere accesso a documenti tenuti segreti e mai messi a disposizioni di chi indagava sul caso, nel gennaio del 2011 la Commissione parlamentare ha riaperto le indagini. C’è chi afferma che ci sono troppe parti colluse e che la verità può venire fuori solo dopo la loro morte. ma è giusta aspettare la loro di morte e non dare la giusta verità storica e sociale ad un avvenimento simile? Di sicuro ci sono le continue chiusure e l’insabbiamento per quelle navi cariche di rifiuti tossici che sono approdate, negli anni della guerra civile, in Somalia.
Eppure, in questi venti anni, il caso Ilaria Alpi ha continuato ad animare discussioni, fra chi cercava di minimizzarne la morte e chi invece ha sempre cercato la verità.
Il suo nome è legato dal 1995, l’anno successivo alla sua morte, ad un premio giornalistico, assegnato alla migliore inchiesta televisiva italiana sulla pace o sul sociale. A lei è stato dedicato un film, che cerca di ripercorrere le fasi della sua morte, almeno due spettacoli teatrale, canzoni, ma anche scuole, strade, per ricordare la figura di una giovane donna italiana, che credeva nel suo lavoro, nella sua missione e nella verità.
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