Ivan Vincenzo Cozzi dirige Le città invisibili

Al Teatro Trastevere un omaggio a Italo Calvino

Dal 24 al 29 ottobre il Teatro Trastevere di Roma ospita lo spettacolo Le città invisibili di Italo Calvino, diretto da Ivan Vincenzo Cozzi, con Andrea Dugoni, Claudia Fontanari, Silvia Mazzotta, Brunella Petrini.

Lo spettacolo creato nel 2016, ritorna in scena proprio per omaggiare i cento anni dalla nascita del noto scrittore italiano, che ha scritto e pubblicato romanzi per bambini, ragazzi e adulti. Un uomo che ha fatto della fantasia un illuminante collante per raccontare la realtà. Ne ho parlato insieme al regista dello spettacolo Ivan Vincenzo Cozzi, con cui abbiamo ricordato anche lo scrittore italiano Italo Calvino.

Le città invisibili è un libro di Italo Calvino, ricco di significati onirici, che voi avete deciso di portare in scena. Cosa l’ha colpita maggiormente di questo scritto di Calvino?

Le Città Invisibili è un testo che si può leggere infinite volte e scoprire sempre nuovi risvolti, idee che non avevi preso in considerazione, significati che non erano balzati agli occhi. Questa scrittura, che lui definisce “letteratura poetica”, è stata l’innesco per misurarsi con una drammaturgia che ha mantenuto integro il testo ed ha lavorato soprattutto sull’idea di mettere in scena tre donne per interpretare la figura e le sfaccettature di Marco Polo; sui personaggi e sui loro movimenti.

Fra le 55 città raccontate all’interno del libro, ne ha scelte solo 13, come le ha selezionate? Cosa hanno in particolare?

Abbiamo scelto le tredici che più consentivano l’evocazione dell’immaginario collettivo (gli scambi, la morte, il desiderio, la memoria) e, al contempo affrontavano argomenti attuali, a volte anche sociali, come fa Leonia, la città della spazzatura e dello spreco.
Queste città hanno in particolare la capacità di ricreare quello che ci è capitato, almeno una volta nella vita, di vivere davvero.

Perché Calvino dà un nome femminile a tutte le città? E come si è comportato lei nel suo lavoro?

Calvino diceva che i nomi delle città non importavano e che aveva scelto di chiamarle con nomi di donna che riecheggiassero un sapore orientale, medievale, comunque richiamassero una simbologia collettiva.

Eppure, approfondendo i significati e le scelte fatte dall’autore nell’onomastica delle Città, si nota che questi nomi si affiancano per analogia o per contrasto al contenuto della narrazione. La scelta è stata quella di dare peso non tanto al nome, quanto alla storia che la città cela. Il nome è sempre pronunciato all’interno del racconto, ma è sfuggente, evoca qualcosa e poi si quieta e si nasconde…

In scena ci saranno tre attrici e un attore, quali sono i loro ruoli e cosa ha chiesto ad ognuno di loro?

I personaggi sono Kublai Kan, interpretato da Andrea Dugoni e tre viaggiatrici che interpretano Marco Polo (Claudia Fontanari, Silvia Mazzotta, Brunella Petrini). Tutte rappresentano una sfaccettatura del viaggio nello spazio, ma anche nel tempo; ognuna ha caratteristiche precise e identificabili sia nei costumi che nelle gestualità, ma tutte sono complementari e necessarie per delineare la figura di colui che dialoga con il Kan.
Agli attori ho chiesto in primo luogo di lasciarsi portare dal testo, di entrare nella poetica di Calvino e di analizzare il significato di ogni città, sia nella parola, sia in quello che evocava in loro. E, soprattutto, di essere rigorosi nel recitare il testo senza cambiare neanche una parola.

Qual è la sua visione dello spettacolo che ha messo in scena?

La visione che mi ha guidato è quella del viaggio. L’idea del viaggio, il significato del viaggiare così come si faceva ai tempi di Marco Polo. Ho immaginato, dunque, questa carovana di mercanti o anche semplici viaggiatori nomadi che arrivano nella terra ricca e (forse) ospitale dove sorge il Palazzo Imperiale.
Ho immaginato tre momenti fondamentali in cui dividere il tempo: l’alba con l’apertura del mercato; la notte con la vicinanza che si può avere in un bivacco; la Scacchiera che è poi il filo conduttore dei tormenti di Kublai Kan, una scacchiera che non è quella del “Settimo Sigillo”, ma che mette i protagonisti di fronte alla loro interiorità.

Cosa l’affascina maggiormente del Calvino scrittore?

La capacità di raccontare senza mai essere didascalico; il suo essere sempre diverso e nuovo; il dono di rinnovarsi nella scrittura e nei contenuti ad ogni nuovo progetto letterario. E, nello specifico de Le Città Invisibili, il processo creativo che ha guidato l’intero progetto.

Quest’anno ricorre il centenario dalla sua nascita e sono molte le iniziative che lo ricordano. Com’è visto lo scrittore dalle nuove generazioni?

Le nuove generazioni, superate le diffidenze nei confronti dei classici e, magari, indirizzati ad approfondire i sogni e le esperienze di Calvino ragazzo, riescono sempre a incuriosirsi e immedesimarsi. L’elemento che più affascina i giovani, da quel che ho potuto vedere lavorando sulle Città, è l’inventiva dell’autore, la sua capacità di trasformare la realtà, sempre restando in contatto con l’ironia, la gioia, il sorriso.

Come vedeva il mondo Calvino e cosa è stato capace di regalare ai suoi lettori?

Il mondo, secondo Calvino, è un sistema di molteplici forme, un concetto che fa dire anche a Kublai Kan, estremamente frantumate e senza una vera relazione fra loro, alle quali è impossibile dare ordine. Però è possibile combinare queste forme fra loro e creare nuove relazioni.

Ai lettori ha dato modo di generare sempre nuove visioni; il suo immaginario si è sempre misurato con i tempi ed ha dato un nuovo significato alla leggerezza, svincolandola dal concetto di superficialità, come racconta nelle Lezioni AmericanePrendete la vita con leggerezza, che leggerezza non è superficialità, ma planare sulle cose dall’alto, non avere macigni sul cuore”.

Qual è il suo pensiero su colui che è considerato uno dei più grandi autori del Novecento?

Penso che Calvino ci abbia dato gli elementi e le motivazioni per riflettere sulla nostra condizione umana e Le Città Invisibili sono la dimostrazione di come il pensiero può evolvere e di come possiamo diventare artefici di un nuovo modo di vivere.

Cosa si aspetta da questo spettacolo? E dagli spettatori?

Questo spettacolo è nato nel 2016 ed è sempre in evoluzione. È una miniera di possibilità, un crogiuolo di esperienze e di sensazioni da mettere insieme, far crescere e condividere con gli spettatori.

Da loro ci aspettiamo che riescano ad aprire i loro sentimenti alle cose profonde suggerite da Calvino e che escano dal Teatro rigenerati dalle possibilità che lo spettacolo offre per una riflessione sul nostro rapporto con la vita attuale e con i problemi profondi della terra.

Grazie e in bocca al lupo!

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Sissi Corrado

Responsabile del Blog Interessi tanti: lettura, scrittura, teatro, cinema, musica, arte, collezionismo, sociale, ecc.

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