La libertà femminile

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Le donne libere sono quelle occidentali?

In Iran una giovane 33enne Roya Heshmati è stata condannata a 74 frustrate perché ha scattato e pubblicato foto sul suo profilo, poi eliminato, senza indossare l’hijab, il caratteristico il velo islamico, e perché ha rifiutato di indossarlo ovunque. La giovane, nonostante la punizione inflittale, non ha continuato a indossare quello che per lei è un simbolo di oppressione, il velo obbligatorio per le donne, perché, secondo la concezione islamica, le donne valgono poco o nulla, e loro non possono mostrarsi al mondo esterno.

In Iran da anni si combatte una lotta che non è silenziosa, che provoca la morte di tante donne e che le fa subire torture, violenze, oltraggi e condanne. Eppure quel sentimento di libertà che le stesse donne cercano con ogni singola parte del loro essere, non viene represso. Non vuole essere represso né dalle donne che si ritrovano a sfilare per le strade, né dai giovani che le accompagnano credendo nella libertà anche del genere femminile.

In Iran, paese considerato civilmente e socialmente arretrato, povero, desolato, eppure in passato culla della civiltà, si continua a combattere. E tanti affiancano questa lotta. Il sostegno alle giovani iraniane arriva dai media internazionali, arriva dalle donne dell’intero mondo occidentale, arriva dagli uomini e dai politici occidentali, da quei paesi che legalmente, considerano la donna un essere paritario all’uomo, che la proteggono e ne condannano le violenze. Sì, il sostegno, l’aiuto, la solidarietà arriva anche dall’Italia.

Arriva anche dalla patriarcale Italia, che con sdegno e con le parole dei politici di ogni colore, bandiera, regione, appoggiano la richiesta di libertà delle donne iraniane, appoggiano il loro desiderio di parità, appoggiano la loro lotta, e sì, appoggiano l’ipocrisia. Uomini e donne che appoggiano la libertà delle giovani iraniane, si comportano diversamente all’interno del proprio paese, appoggiando e sostenendo a gran voce, il patriarcato, o negandolo nonostante l’evidenza di gesti, parole e condizioni in cui si vive.

Sono le stesse donne e gli stessi uomini che attraverso le parole, le offese, i modi con i quali si rivolgono alle giovani italiane o straniere, basta che siano di genere femminile, si rendono carnefici delle donne, non poco né meno di quelli che obbligano le giovani a indossare l’hijad. Gridare alla libertà per le donne iraniane, significa sostenere le donne anche nel proprio paese, nella propria scuola, nel proprio luogo di lavoro, in famiglia, tra gli amici.

Quindi, ogni volta che uomini o donne ed inserisco anche queste ultime perché spesso quelle che si comportano come gli uomini lo fanno per non perdere qualcuno o qualche conquista personale, dicevo, ogni volta che uno o una di loro insulta, offende, intimidisce una giovane o una donna, costringendola a nascondersi nell’aspetto, nell’essere se stessa, ogni volta che accade una cosa del genere, facciamo violenza sulle donne e diventiamo come i carcerieri iraniani, o talebani, che vogliono solo sovrastare sulle figure femminili, diventiamo nazisti, o dittatoriali, che siano di destra o sinistra, diventiamo gli oppositori della libertà.

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Giorgio Gaber cantava negli anni Settanta, vorrei essere libero come un uomo, molto probabilmente perché era chiaro che le persone libere erano gli uomini, da millenni, e che le donne, nel voler essere libere come un uomo chiedevano e chiedono ancora oggi, di poter essere libere di essere se stesse. E mentre ricercano la loro libertà in ogni luogo, come in Italia, in un apese in cui le stesse donne non si sentono sicure, tornano a farsi sentire le parole di Libertà che in quel non lontano 1973, esprimevano molto più di quello che Gaber avrebbe voluto dire, perché La libertà non è star sopra un albero, Non è neanche un gesto o un’invenzione, La libertà non è uno spazio libero, Libertà è partecipazione.

Sembra assurdo, ma riflettendoci, in quegli anni in cui i movimenti femminili, giovanili, si ribellavano al maschilismo e al patriarcato opprimente e così intrinseco nella società italiana, Gaber, un uomo, attento conoscitore della società italiana, cantava versi dedicati ai giovani, alle donne e agli uomini che si muovevano in quegli anni, pronti a rimpastare regole, privilegi, valori, mettendo in primo piano la figura umana. Cantava la libertà che in quel periodo era presente anche in Iran, cantava la voglia di un mondo più giusto, più attento, più umano, un mondo per tutti, cantava di un mondo partecipato.

Cantava in Italia qualcosa che, nel tempo si è perso, perché quelle frasi, quei valori (non antichi e patriarcali, quanto quelli umani) si innalzavano tra le proteste giovanili, tra gli studenti, che avevano o stavano apprendendo i valori che portavano in piazza. Era una libertà e un modo di trovarla e difenderla in partecipazione, insieme, con la forza e il valore di donne e uomini, insieme.

Ed è per questo motivo che ogni volta che ci rivolgiamo a una donna, a una ragazza, offendendo il suo essere, violando la sua libertà nel vestire, nel mostrarsi attraverso il suo gusto estetico, che la giudichiamo per il suo modo di porsi e di essere, solo perché non rispecchia il nostro, stiamo usando violenza verso di lei. La violenza che scaturisce dalle parole, dagli atteggiamenti, non è meno pericolosa e deleteria della violenza fisica.

Insieme al mondo femminile non possiamo dimenticare la violenza fisica e verbale che viene riservata anche ai gay, alle lesbiche che vivono in paesi dove questo loro modo di essere è considerato peccaminoso e punito con la morte.

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Sissi Corrado

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