Nome di donna, la lotta alle molestie

Il sogno di avere giustizia contro le molestie sul lavoro

Nome di donna è il film del 2018 che Marco Tullio Giordana dedica alle molestie sul lavoro e in questo caso specifico, tocca alcuni dei temi caldi della nostra epoca: donne e violenza.

Il regista non è nuovo a impegni del genere, prova ne sono i suoi lavori precedenti. Il suo è uno sguardo attento sulla società italiana, sui pensieri, con un velo di speranza perché i suoi personaggi raccontano storie di riscatto, attraverso cui cambiare il mondo e rendere giustizia a chi la chiede. Temi forti che si intrecciano indissolubilmente con le vite dei protagonisti di alcune sue pellicole, quali I cento passi, La meglio gioventù.

Con Nome di donna, interpretato da Cristiana Capotondi, il regista sposta l’attenzione sulla violenza sulle donne, sulle molestie fisiche e psicologiche che le donne subiscono nei luoghi di lavoro, tema attualissimo e molto dibattuto in questo periodo. In questo caso, il fulcro si sposta sul comportamento che questi misfatti suscitano nelle persone coinvolte o meno: in particolar modo evidenzia il fatto che molto spesso questi atteggiamenti sono sottovalutati o giustificati.

Il film racconta la storia di una donna Nina Martini che si trasferisce in Brianza con la figlia, alla ricerca di un lavoro e di fortuna. Lei è una madre single, che nei piccoli paesi e nella mentalità cattolica, appare ancora una donna di “facili costumi”, non sempre “accettata”. Nina comincia a lavorare per una casa di riposo per anziani, dove lavora anche un sacerdote, che si occupa dell’amministrazione del personale. Il suo rapporto con le colleghe è positivo, sereno, ma la quiete viene interrotta quando la donna è vittima di molestia da parte del direttore della struttura. Un fatto che accade a tutte le donne, sposate o meno, e che viene silenziosamente tollerato. Nina, però, non ha alcuna intenzione di cedere alla violenza, all’omertà e decide di combatterla. La sua sarà una battaglia dura non solo contro chi “comanda”, ma anche contro chi lascia che cose del genere accadano, nella più ampia omertà.

E qui comincia il nostro discorso sociale che si spinge all’attuale concezione della situazione femminile, perché, se da una parte si cerca di invitare le donne a denunciare e ribellarsi a situazioni del genere, dall’altra, non possiamo negarlo, resta ancora molto forte il senso di connivenza e omertà che circonda questi fatti. Appare inevitabile avvicinarlo a quel pregiudizio che spesso si legge negli occhi degli altri per cui si pensa che “alla fine le donne, un po’ se lo cercano”.

Appare evidente la scelta registica di contrapporre questi due sentimenti, spingendoli, però, verso un senso di rivalsa contro chi cerca di giustificare atti del genere e chi accetta l’abuso per il semplice fatto che esista.

È un film che apre sicuramente al dibattito, alla riflessione e apre gli occhi su una serie di situazioni, di piccole avvisaglie che abbiamo ma che non vogliamo notare o che notiamo solo successivamente, un po’ come quando camminiamo con la classica “benda sugli occhi”.

Dobbiamo anche dire che la Capotondi ha continuato in questo suo essere presente attraverso il suo lavoro, nella battaglia contro la violenza sulle donne. Poche settimane fa è andata in onda la serie Bella da morire che l’ha vista impegnata in una sceneggiatura anch’essa incentrata sulla violenza sulle donne, tema molto sentito dal genere femminile.

Nome di donna può essere un modo per ricordarci che spesso, al lavoro, nei luoghi di divertimento, per la strada, potremmo incrociare il passo di una donna e lei potrebbe nascondere un segreto, una sofferenza, qualcosa che potrebbe apparirci per un attimo. Sta a noi evitare che passi inosservato, prendendo coscienza che quelle situazioni di riscatto, quella voglia di cambiare il mondo e la concezione che si ha di noi esseri umani, può essere modificata attraverso l’impegno di tutti. E, come cita la canzone simbolo del film “Rise up” cantata da Andra Day: “Nonostante il dolore io sorgerò mille volte ancora”.

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Sissi Corrado

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