25 aprile 1945: religione civile dell’Italia

i valori bisogni cercarli ed è una fatica

Il virus “ci ha fatto pure il regalo uno dei pochi – di liberarci, per la prima volta nel Dopoguerra, della retorica del 25 Aprile, quantomeno della sua rappresentazione fisica nella quale, peraltro, non c’è più un partigiano a pagarlo oro”. Con questa limpida prosa da “fascista perenne” Sallusti, su Il giornale del 5 aprile, ci illustrava il concetto profondo che il “virus non è fascista, non è antifascista” commentando un increscioso “svarione politico” commesso dal sindaco di Parma, a proposito dell’erogazione dei “buoni spesa”.  

Gli imbecilli di complemento, ascari del tempo che fu, hanno subito plaudito: perché ricordare ancora il 25 aprile, dopo settantacinque anni, quando ormai non c’è più un partigiano vivo? Lo stesso accadrà per la Shoah, quando tutti i testimoni del genocidio nazifascista saranno morti. Il ricordo perde valore quando vengono meno i suoi testimoni. Una cosa però è vera: abbiamo lasciato commemorare la Resistenza anche da chi non aveva titolo per farlo e così abbiamo finito per renderla un simulacro, un qualcosa di buono per tutte le stagioni politiche. Durante tutti questi anni ci siamo distratti, abbiamo permesso che fascisti e neofascisti avanzassero, così abbiamo rischiato di stravolgere la Costituzione. Basta poco. L’Ungheria di Orban è lì a ricordarcelo. Se permettiamo di spezzare quel filo rosso che lega la Resistenza ai valori della Costituzione, permettiamo di spezzare quello stesso legame che lega la Resistenza alla Repubblica democratica.

Vittorio Foa, il grande e rimpianto vecchio della sinistra del novecento, ci diceva a noi “giovani” sessantottini: “i valori non sono collocati in un posto fisso come una cassetta di sicurezza, i valori bisogni cercarli ed è una fatica”. E compito della storia è quello di scavare nei fatti del passato per recuperare i valori, da riporre nella cassetta degli attrezzi, con cui provare ad aggiustare i guasti del presente.

Oggi nel tempo del tempo sospeso dal virus ci troviamo davanti una occasione irripetibile. Quella di pensare al dopo-virus per dare piena attuazione alla Costituzione, per ritrovare quel patto costituzionale che permise all’Italia del dopoguerra di esprimere le migliori energie, intellettuali e materiali. Ci è data un’occasione irripetibile, quella di ritrovare lo spirito costituente, di essere partigiani della Costituzione, di recuperare, come diceva Piero Calamandrei, la Resistenza come “religione civile” degli italiani. Il valore del 25 Aprile sta tutto nel voler tenere vivo e alimentare quei valori nati dalla Resistenza. E Sallusti, che è solo la punta di un iceberg di una cultura fascista,  sotterranea e profonda, che purtroppo innerva una buona parte della nostra società, da voce a quell’area sovranista e populista che sta cercando una rivincita in nome di una “memoria condivisa” e di un indistinto calderone in cui la “storia dei vinti” si confonde con la “storia dei vincitori”.

Immagine dal web
Italian partisans associated with the Partito d’Azione during the liberation of Milan. (Photo by Keystone/Getty Images)

Calamadrei scriveva: “le Costituzioni vivono fino a che le alimenta dal di dentro la forza politica, se in qualche parte ristagna questa circolazione vitale, gli istituti costituzionali rimangono formule inerti, come avviene nei tessuti del cuore umano, dove se il sangue cessa di affluire, si produce quella mortale inerzia che i patologi chiamano infarto”.

Se vogliamo quindi che il dopo-virus non sia il gattopardesco “tutto cambi perché nulla cambi” occorre che gli ideali della Resistenza, anche attraverso il “25 Aprile”, torni a farsi sentire, “per insorgere ci voleva il diavolo in corpo”, riproponendo con forza l’antifascismo come religione civile degli italiani. E “mettere il diavolo in corpo”, e il 25 aprile può renderlo visibile, è ancora l’unica risorsa  effettivamente spendibile nell’impegno in difesa della nostra Costituzione.

Del 25 aprile  ogni anno noi siamo i fedeli custodi della sua memoria. Ma è sufficiente? Direi di no visto i tanti fenomeni di risorgente “neofascismo”, i tentativi revisionisti e negazionisti da parte della destra, anche di quella che un tempo si definiva moderata, o anche la nuova tendenza che si sta affermando: quella del “rovescismo” che potremmo definire come “la fase suprema del revisionismo”. La storia è per sua natura “revisione”, che si basa sul lavoro dello storico, mentre il “revisionismo, una pratica molto in voga presso i politici, soprattutto di destra, lo possiamo definire come l’ideologia e la pratica della revisione programmatica. Con la finalità dichiarata di voler costruire una “memoria condivisa” in cui le “ragioni dei vincitori” si confondono con le “ragioni dei vinti” e affermando che tutto quello che fin ad ora si è appreso sono “bugie” da parte di storici “partigiani”.

La memoria quindi deve essere il rapporto che con il passato noi costruiamo nel presente. E il 25 aprile 2020, silenziato dal virus, deve tornare ad essere, come lo fu allora, la memoria di una “storia condivisa” che ridia senso di comunità e di unità fra di noi. Una comunità civile che unita dagli ideali resistenziali, ritrovi in questa “religione civile” davanti ai monumenti che ne rappresentano i suoi altari. E sicuramente l’altare maggiore sono le Fosse Ardeatine.

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Roberto Papa

“Ci sedemmo dalla parte del torto visto che tutti gli altri posti erano occupati”. (Bertold Brecht)

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