Pop Poetry: Ascolta come mi batte forte il tuo cuore a teatro
Poesie note e scritti inediti di Szymborska riproposti al Teatro Vittoria
Dunque ci sei? Dritto dall’attimo ancora socchiuso?/ La rete aveva solo un buco, e tu proprio da lì?/ Non c’è fine al mio stupore, al mio tacerlo./ Ascolta/ come mi batte forte il tuo cuore.
Il titolo dello spettacolo dedicato a Wisława Szymborska, che è andato in scena al Teatro Vittoria di Roma il 7 ottobre, è tratto dall’ultimo verso di una delle sue poesie più famose, Ogni caso, testo d’apertura dell’omonima raccolta (1972). Szymborska scrive non c’è fine al mio stupore e lo stupore è una parola chiave della sua poetica. Certo, ma quale stupore?
È difficile non servirsi del discorso da lei tenuto alla cerimonia del Premio Nobel, che vinse nel 1996: verso la fine, la poetessa dice Ma nella definizione “stupefacente” si cela una sorta di tranello logico. Dopotutto stupisce ciò che si discosta da una qualche norma nota e generalmente accettata, da una qualche ovvietà a cui siamo abituati. Ebbene, un simile mondo ovvio non esiste affatto. Il nostro stupore esiste di per sé stesso e non deriva da alcun paragone con alcunché’.
È del tutto evidente dunque che la poetessa non crede che lo stupore derivi da qualcosa di straordinario, ma dalla quotidianità, apparentemente banale e ovvia che, di per sé stessa non è mai ordinaria. D’altronde, ciò che sembra ordinario, ordinario non è, come incontrare una persona che si ama. Dice ancora la Szymborska in versi superlativi: E a me è capitato di esserti accanto./ E davvero non vedo in questo nulla/ di ordinario.
Dunque, come portare in scena i versi di questa ordinaria eccezionale? La domanda è intrinsecamente problematica per il fatto, non banale, che questa poetessa polacca, sostanzialmente sconosciuta in Italia fino a che non ottenne il Nobel, è divenuta un’autrice di bestseller. L’apparente semplicità dei suoi versi, il suo parlare di quotidianità e di stupirsi nell’ordinario, sempre con un’ironia divenuta proverbiale, ne ha forse determinato la stessa popolarità. Ma è palese che ciò porti al rischio del fraintendimento e la declamazione delle poesie di quella che si può e si deve chiamare una poetessa pop a teatro determina cautela.
Date le premesse, infatti, qualunque spettacolo deve di necessità preservare la stessa ironia della poetessa stessa e astenersi da toni retorici e roboanti. Significativamente, Andrea Nicolini, il primo attore a parlare in scena, esordisce proprio dicendo: Che cosa penserebbe la Szymborska della nostra gioia nel ricordarla? Riflessione non scevra di un gusto paradossale, proprio perché la poesia non è (non potrà mai essere? Ma ciò aprirebbe un altro discorso) un genere pop; come recitare senza ironia poesie diventate pop?
La regia dello spettacolo, che aveva debuttato l’anno scorso proprio al Teatro Vittoria, durante l’anno del centenario della nascita di Szymborska, è di Sergio Maifredi, amico del grande polonista italiano Pietro Marchesani. Gli attori in scena sono il già citato Andrea Nicolini e Maddalena Crippa. I due si alternano nelle letture, il primo spesso nei panni di Kornel Filopowicz, l’amore della vita di Szymborska. Infatti, nello spettacolo vengono alternate le letture di poesie, da parte di Maddalena Crippa, a quelle dell’epistolario.
Ne esce un quadro variegato che soddisfa lo spettatore nel suo bisogno di ascoltare alcune delle poesie più note e delle dichiarazioni della scrittrice divenute aneddotiche (l’utensile più importante nella stanza di un poeta è il cestino della carta straccia) ma che presenta pure testi meno conosciuti, così come stralci dell’epistolario, restituendo in tal guisa uno spettacolo gradevole. Maddalena Crippa, poi, riesce ad interpretare con grazia ed ironia le poesie, senza cedere ad una lettura enfatica e retorica che, per le ragioni di cui parlavo sopra, sarebbe stata insensata nel caso di questa poetessa. È molto bravo anche Andrea Nicolini, il quale mantiene la freschezza e l’ironia propri dello spettacolo, che riflette appunto le caratteristiche dell’opera.
Si tratta di una poetessa molto conosciuta ma credo che la struttura stessa dello spettacolo sia intesa a renderlo fruibile da un pubblico molto vasto. Anche in questa direzione va forse letto l’accompagnamento musicale del compositore e pianista Michele Sganga, non nuovo a lavori per il teatro, e che è presente in scena dall’inizio alla fine dello spettacolo. Interessante è anche la sezione in cui gli attori leggono i limerick che, con il loro gusto paradossale, determinano quasi uno stacco scanzonato, che avrebbe forse potuto essere più accentuato da un maggiore movimento degli attori in scena.
Lo spettacolo è sostanzialmente riuscito, anche in uno scopo didascalico e istruttivo, nel senso del fare conoscere la poesia al grande pubblico. Certamente, portare in scena la poesia in uno spettacolo determina una semplificazione e un’operazione addomesticante.
La riflessione è d’ordine generale e mi pare essere oggi controcorrente. Ovvero, la popolarizzazione della poesia è un evento così lodevole dal punto di vista politico ed estetico? Ai postmoderni la sentenza … Fuor di metafora, chi si sognerebbe mai di fare uno spettacolo sul poeta dell’Arcadia Giovan Battista Casti? Anche la letteratura segue logiche di mercato …
Al di là della parentesi, lo spettacolo è riuscito, sia nella progettazione generale che nell’interpretazione attoriale.
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