Recensione: Giovanna D’Arco al Teatro Tor Bella Monaca
Uno spettacolo che non riesce ad esaltare la figura femminile e i sentimenti della donna
Uno dei personaggi più discusso della storia è la giovane Giovanna D’Arco, la pulzella d’Orleans. Giovinetta, contadina, analfabeta, salita agli onori della cronaca e della gloria per le sue conversazioni con Dio e la sua determinazione a sconfiggere l’esercito inglese che voleva spodestare il re francese. Una donna che, come le donne all’epoca, aveva poca importanza nelle decisioni politiche, a meno che non si fosse regina, imperatrice, consorte di un titolato di potere. Eppure lei divenne “famosa”, temuta, seguita. Un connubio tra politica e religione, tra fede e potere che coinvolse il regno francese e il papato, chiamato a giudicare la giovane donna.
Giovanna D’Arco Le donne e la scelta, scritto da David Norisco, prova a raccontare la figura femminile e in particolare quella della giovanissima “ribelle” nel cuore e nell’azione. Lo spettacolo, diretto da Filippo D’Alessio, porta in scena quattro attori: Mario Focardi, Agnese Lorenzini, Alioscia Viccaro e Ana Kush, al Teatro Tor Bella Monaca di Roma.
Come dicevo prova a raccontare di Giovanna D’Arco, ma si rivela un incastro di scene che non riescono a dialogare tra loro. Troppi gli elementi messi in scena: la bimba, la ragazza, la determinazione, il coraggio, la fede, la paura, il timore, la caparbietà, la disperazione, il sentimento di amore terreno e quello verso l’amore divino. Sopra ogni cosa si cerca di far prevalere il sentimento di autoaffermazione e libertà, mettendo in scena una donna in abiti da uomo che non mostra mai nessun tentennamento e nessun desiderio di arretrare dinanzi alle sue scelte. In tutte queste opzioni si privilegia la carcerazione di Giovanna e il suo scontro con la santa inquisizione che alla fine, dopo un lungo processo, la condanna al rogo, pena che era riservata alle streghe, notoriamente vicine al demonio.
Sulla scena se da una parte si apprezza nel testo quell’italiano del passato, la cui musicalità è possibile sentire ancora oggi, dall’altra ci si scontra con un testo di difficile comprensione e interpretazione. Mancano, infatti, le giuste ritmiche e la comprensione delle parole, cosa che arriva al pubblico. I personaggi interpretati dalla giovane Ana Kush non arrivano e si fa fatica a comprenderne il senso, in ogni scena e interpretazione. Non arrivano le emozioni, in particolare quelle che dovrebbero suscitare maggiore interesse e che sono, poi, il fulcro della storia di Giovanna. Per esempio passa in secondo piano la parte in cui la giovane, prima di salire al patibolo, si sente abbandonata da Dio, parte che dovrebbe avere maggiore intensità in quanto la figura della stessa incarnerebbe, in questo caso, l’umanità che non è stata negata nemmeno al Cristo nel Getsemani o sulla croce. Il dialogo che avviene, poi, tra Giovanna e l’inquisitore, mentre lei brucia sul rogo non solo è improbabile, ma impossibile. Certo, è un punto interessante, ma forse sarebbe stato meglio inserirlo in un momento più libero e non immaginario.
Le scene di maggior interesse restano gli scambi dei colpi di scherma e, come citato in precedenza, i dialoghi di Giovanna e l’inquisitore, interpretati rispettivamente da Agnese Lorenzini e Mario Focardi o di Giovanna stessa. Questo di deve anche per la particolare interpretazione adottata dai due attori, che appare chiara e molto sentita.
Di particolare pregio è la scenografia in legno che sovrasta la scena in modo perfetto ed elegante, trasformandosi e seguendo le scene, e che presenta al centro il palo dove la stessa Giovanna verrà bruciata, ma è anche il punto sotto il quale la giovane prende e depone la sua spada, dove si inginocchia a pregare. Ottimo il gioco di luci della scena che prova a mettere in risalto le azioni degli attori, ma lo è anche la scelta di mantenerli sempre tutti in scena: la protagonista al centro del palco e gli altri in movimento attorno alla costruzione lignea.
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