Riccardo Pisani racconta La nieta

La strage dei desaparecidos argentini e dei loro figli, raccontata al Centro Culturale Artemia

Al Centro Culturale Artemia di Roma, diretto da Maria Paola Canepa, è andato in scena lo spettacolo La nieta – Una storia argentina, nella giornata in cui si ricordavano i desaparecidos, le giovani vittime del regime dittatoriale militare, il 24 marzo. Va ricordato che i desaparecidos non sono solo argentini, ma anche cileni, sempre sotto regimi militari.

Testo e regia sono di Riccardo Pisani che dirige Roberta Lista e Nello Provenzano, in quello che viene definito come un impegno civile per il riconoscimento dei tanti nipoti che sono stati sottratti alle loro famiglie e affidati a famiglie vicine al regime argentino o, come si è scoperto poi, anche a famiglie italiane. La nieta, infatti, rappresenta tutti quei nipoti che le nonne di Plaza de Mayo hanno cercato e continuano ancora oggi a cercare, per amore, per ricongiungersi anche con i figli che hanno perso.

A parlarci dello spettacolo l’autore e regista Riccardo Pisani che ha compiuto un’approfondita ricerca su una delle più grandi sciagure umane.

Salve. La Nieta è uno spettacolo che riprende una delle pagine più dure e tristi della storia Argentina dell’ultimo secolo, se non quella in assoluto. È quella che riguarda i nipoti delle nonne di Plaza de Mayo. Come ha conosciuto lei questa storia e cosa l’ha colpita?

La prima volta che ho sentito parlare dei desaparecidos ero poco più che un ragazzino e chi fossero quelle persone me lo spiegò mio padre, ma in quell’occasione non mi parlò dei nietos. Forse non sapeva come spiegare a suo figlio dodicenne che in giro per il mondo c’erano altri ragazzini, suoi coetanei, che in tenera età erano stati strappati con la forza dalle loro madri e dalle loro famiglie di origine.

Solo anni dopo, parlando con un amico argentino, venni a sapere dell’esistenza dei nietos e di quel giorno ricordo forte la sensazione di rabbia, dolore e incredulità. La pratica della “ricollocazione” dei neonati è una delle azioni più meschine tra le tante intraprese dalla Junta Militar perché non si limitava ad annientare gli oppositori ma, privando le famiglie dei propri figli e nipoti, puntava a far estinguere un intero pezzo di Argentina, i suoi ideali, e la sua visione del mondo e della società.

A Roma, ha presentato La Nieta, nella giornata nazionale argentina della memoria, in quello che è un centro culturale, Artemia, gestito da una donna, originaria dell’Argentina Maria Paola Canepa. Cosa ha rappresentato questo per lei e per tutti i cittadini argentini che vivono in Italia?

Il debutto de LA NIETA – una storia argentina è stato qualcosa di veramente emozionante: debuttare con uno spettacolo sui desaparecidos, in uno spazio simbolo della cultura argentina a Roma, nel giorno della memoria e dinanzi a una platea composta da persone che certe tragedie le hanno vissute in prima persona, non è cosa scontata. È stata una scommessa e tutti insieme l’abbiamo vinta.

Per questo vogliamo ringraziare la direttrice artistica Maria Paola Canepa per aver creduto nel nostro progetto, per averci ospitato in stagione e per aver coinvolto le tante realtà che hanno scelto di patrocinare il nostro lavoro: Municipio XI Roma Arvalia Portuense – Comune di Roma; Asociación Madres de Plaza de Mayo (línea fundadora); Asociación Abuelas de Plaza de Mayo; Fundación Memoria Histórica y Social Argentina; 24 Marzo Onlus; CILD – Coalizione Italiana Libertà e Diritti Civili; Rete per l’identitá – Roma/Milan – Italia. Grazie di cuore a tutte e tutti.

Nella lunga storia dei desaparecidos, i giovani argentini, una generazione, venne del tutto eliminata solo perché chiedevano più libertà, più giustizia, perché si opponevano a un regime dittatoriale. Cosa rappresenta oggi, per i giovani, per il mondo questa pagina della storia?

Quando il mondo venne a sapere delle atrocità perpetrate dalla Junta, noi italiani siamo stati tra i primi a schierarci e a prendere posizione apertamente e da quel momento la questione dei desaparecidos è stata, per molto tempo, uno dei temi politici più caldi e dibattuti. Ma quarant’anni dopo, purtroppo, ci sono molti giovani che ignorano quanto accaduto e per questo motivo credo che sia necessario ricordare e raccontare perché il dramma che si è consumato in Argentina è un dramma che parla a tutta l’umanità. Un monito perché cose del genere non accadano mai più.

Lei ha fatto un lungo percorso di ricerca. È stato facile? Quali sono stati gli ostacoli che ha dovuto affrontare?

Per me la ricerca è parte integrante del lavoro teatrale. Ritengo che per parlare di un qualsiasi argomento sia necessario documentarsi, ma nel caso dei desaparecidos la difficoltà è stata maggiore perché ho deciso di raccontare una storia che non mi appartiene alla nascita.

Non ero preoccupato dell’enorme mole di materiale da studiare, bensì dall’impatto emotivo che la stessa aveva su di me e sul lavoro di scrittura. Sapevo che in questo spettacolo, forse più che in altri, avrei faticato non poco a bilanciare il sentimento di empatia con le esigenze narrative.

Dai documenti che sono stati svelati, si è scoperto che molti dei bambini delle giovani ragazze, imprigionate, violentate e poi uccise, sono stati portati in Italia. Come si è comportata l’Italia in quei frangenti?

Come dicevo prima, l’Italia è stata tra i primi Paesi a schierarsi e per quanto riguarda la ricerca dei nietos, i governi, le associazioni e la società civile si sono sempre dimostrate disponibili ad abbracciare le istanze portate avanti dalle Abuelas de Plaza de Mayo e dalle altre realtà militanti argentine. E grazie a questa apertura nel corso degli anni sono stati ritrovati alcuni dei nietos “italiani” ma la ricerca è lontana dall’essere conclusa.

Purtroppo l’attuale governo non ha ancora chiarito la sua posizione in merito, e temo che la storica collaborazione con le Istituzioni italiane possa subire una battuta d’arresto, proprio nel momento in cui più ci sarebbe bisogno di spingere sull’acceleratore. Per fortuna però esistono realtà associative che lottano giorno dopo giorno con coraggio e determinazione.

Che cosa potremmo rimproverare ai governanti di quegli anni?

In un mondo polarizzato come quello degli anni settanta e dei primi anni ottanta, il pianeta era congelato in un bipolarismo forzato e estremo. Nulla era realmente fattibile senza il beneplacito degli Stati Uniti, che per inciso all’epoca hanno supportato e finanziato i generali argentini. Nella logica del “cortile di casa” in America Latina sono fiorite dittature cruente e sanguinarie che hanno sconquassato l’intero continente, e forse in Argentina abbiamo assistito agli eccessi di queste politiche scellerate.

Nello scenario della Guerra Fredda non si poteva fare molto per l’Argentina, ma i governi europei avrebbero comunque potuto fare di più, soprattutto per quanto riguarda la ricerca e l’identificazione dei nietos. Forse è mancato il coraggio di schierarsi non solo nel cordoglio, ma anche nella lotta.

Di quei fatti atroci, oggi se ne parla più liberamente, ma forse se ne parla ancora poco, perché in molti non conoscono ancora realmente i fatti. Quali sono le cose che potremmo fare per ricordare e portare avanti questa battaglia cominciata con le madri e le nonne di Plaza de Mayo?

Per portare avanti una battaglia non basta simpatizzare per la causa o dimostrare la propria solidarietà ma bisogna essere militanti. Avere il coraggio di affrontare l’argomento, di approfondirlo, di parlarne, ognuno con i propri mezzi e ognuno con il proprio linguaggio. Io sto provando a farlo attraverso il teatro.

Ancora oggi ci sono tantissime nonne che aspettano, desiderano riabbracciare nipoti che non conoscono la loro storia. Quanta sofferenza causano eventi del genere nella società, nelle persone e cosa sarebbe opportuno fare per rimediare ad esse, per eliminarle?

La sofferenza causata da eventi di questa portata non è quantizzabile. È troppo dolore. Una sofferenza di fronte la quale o si affonda o ci si rialza. E quanto successo in Argentina ha trasformato il lutto privato in militanza, la speranza in autorganizzazione e la ricerca dei nietos in una vera e propria missione.

Le Abuelas vivono nella consapevolezza che parte della loro eredità spezzata sia ancora lì, a portata di mano e il non poter sapere, il non poter ricongiungersi ai propri nipoti, il non poterli riabbracciare rende quasi impossibile sanare le ferite.

Purtroppo non è possibile rimediare agli orrori della dittatura, ma è fondamentale che questa storia non venga mai dimenticata e informare il più possibile sul lavoro portato avanti dalle Madres e dalle Abuelas affinché gli sforzi per ritrovare i nietos, anche quelli italiani, non siano vani.

Sono sempre stata colpita dal coraggio e dalla forza delle madri e delle nonne di Plaza de Mayo. Come vengono viste nei libri di storia? E dalla società?

Personalmente considero le Abuelas e le Madres de Plaza de Mayo donne coraggiose che hanno scelto di alzare la testa. Donne dignitose e fiere che hanno dovuto farsi carico dei propri morti e di quelli di tutto il Paese. Sono un esempio per l’umanità intera. Ma purtroppo nei libri di storia, almeno quelli scolastici, a loro è dedicato troppo poco spazio. Ma per fortuna c’è la possibilità di attingere direttamente alle loro voci e riconnettersi così alla loro storia oltre le pagine dei libri.

Cosa rappresenta lo spettacolo La Nieta per lei?

Lo spettacolo “La Nieta” per me è l’emblema di un Paese diviso e perennemente in lutto. Attraverso il testo e la regia ho cercato di proporre una lettura personale che comprendesse i piani politico, storico, sociale, antropologico e psicologico. E questo mi ha dato la possibilità di affrontare la questione dei desaparecidos nella sua interezza, senza mai dimenticare che ognuno degli oltre trentamila morti aveva un nome, un volto, una storia personale. Con questo spettacolo anche io esclamo il mio personalissimo NUNCA MAS!

Come ha diretto i due attori Roberta Lista e Nello Provenzano? Che cosa ha voluto evidenziare nei loro personaggi?

Il lavoro con gli attori è stato molto gratificante. Sia Roberta che Nello si sono immersi a pieno nel lavoro cercando di comprendere le ragioni storiche, sociali, psicologiche e politiche della vicenda. I personaggi che interpretano rappresentano in qualche modo le due polarità della società argentina.

Lui ex militare, spietato, cinico, bugiardo e legato ai valori tradizionali. Lei giovane, innocente, sensibile e in ascolto con le emozioni, specie se dolorose. La contrapposizione tra i due produce una tensione crescente, che permette di scendere sempre più in profondità nella vicenda, fino ad arrivare a raccontare e ad affrontare la delicata questione dei desaparecidos.

Tengo a precisare che è stato Nello, di ritorno dall’Argentina a mostrarmi il video di un raduno a cui aveva partecipato a Plaza de Mayo, e a propormi di fare uno spettacolo sui desaparecidos... ho detto sì senza esitare.

Quali sono stati i commenti degli spettatori alla fine dello spettacolo?

È stato un debutto sentito, vero, condiviso. Le emozioni più forti sono state il silenzio sacrale che regnava in platea, gli occhi lucidi di chi purtroppo certe dinamiche le conosce bene e il sentito “grazie” detto da chi la battaglia per la giustizia e la verità la combatte ogni giorno. Inoltre a fine spettacolo mi hanno chiesto la cosa più bella che mi potessero chiedere: se fossi argentino o avessi origini argentine. Insomma direi che è andata davvero bene.

Se potesse esprimere un desiderio per questa vicenda, quale sarebbe?

L’unico desiderio che mi sento di esprimere è che questa storia non venga dimenticata. Come monito per l’Argentina e per il mondo intero.

Grazie e in bocca al lupo per il suo lavoro.

Grazie a Lei per il tempo e lo spazio che ci ha dedicato e che crepi il lupo!

Gli articoli pubblicati sul Blog sono scritti dai Soci dell’Associazione in maniera volontaria e non retribuita. RIPRODUZIONE RISERVATA © Copyright CulturSocialArt

Sissi Corrado

Responsabile del Blog Interessi tanti: lettura, scrittura, teatro, cinema, musica, arte, collezionismo, sociale, ecc.

Leggi anche