Shakespeare al Vascello con Valrosso

Davide Valrosso convince senza ombra di dubbio

Al Teatro Vascello di Roma è andato in scena, dal 25 febbraio al primo marzo l’adattamento dell’opera teatrale “Sogno di una notte di mezza estate”. La commedia shakespeariana, oltre all’ovvio valore letterario, è particolarmente adatta, per la sua malleabile natura, a essere interpretata in infinite maniere. Se, dunque, da un lato si naviga nel mare magnum delle possibilità di renderla per il palcoscenico, dall’altro potrebbe essere particolarmente arduo proporre un buon prodotto teatrale di una commedia con una storia artistica così imponente e variegata. Inserendosi sapientemente in questa proteiforme tradizione, la trasposizione del coreografo Davide Valrosso convince senza ombra di dubbio, anche a giudicare dal prolungato applauso che ha salutato i ballerini, quattro donne e quattro uomini, tutti in stato di grazia.

Si segnala, en passant, solo che la commedia non fu rappresentata nella sua veste integrale sino alla metà dell’Ottocento, che lo stesso Purcell ne fece un adattamento musicale nel 1692, e che fu riproposta sotto forma operistica da Mendelsohnn. Tali note non sono oziose perché valgono a sostenere l’evidenza che la commedia ben si presta ad essere musicata e a sperimentazioni varie. Non certo immemore della importante tradizione che ha alle spalle, Valrosso, avvalendosi di otto eccezionali danzatori, mescola porzioni di danza accademica a porzioni più sperimentali, senza mai tuttavia uscire fuori dai cardini di un’atmosfera “sognante”, appunto.

Oltre al tema del sogno, è cruciale quello della magia, ovvero dell’amore, considerato sì in maniera concreta o illusoria ma sempre tangibile grazie al senso della vista, che viene abbagliata, colpita, sedotta, forse ingannata da un mondo fatato. Ed è questo il senso dei colori accesi dei costumi dei ballerini, e del profluvio di energia che sprizza dai loro aggraziati movimenti. D’altro canto, il tema del sogno, laddove l’onirismo è suggerito lungo l’intera opera shakespeariana, nonché lungo tutta questa riproposizione. Puck è il caos, ma tutto il sogno e l’inganno non perde mai l’elemento ludico. Così era già nel poeta inglese.

In questo balletto l’elemento divertito sembra essere ancora più accentuato, senza tuttavia rendere l’operazione superficiale. Al contrario, l’allegria, la vivacità, l’energia che sprizza dalle coreografie ricompone il caos del mondo in una mozartiana armonia, con l’aggiunta di un (sempre divertito) tocco ironico nei confronti del bambino che c’è dentro ognuno di noi e che non vuole mai smettere di giocare.

Di fronte alle cose che non si possono controllare, dunque,non c’è una cupa disperazione, ma un distacco ironico e un surreale ed eterno gioco che solo la finzione teatrale, solo l’arte più vera (o finta?) possono regalare. Le luci, estremamente suggestive, contribuiscono a creare questa atmosfera onirica, compiaciuta e divertita. Il passaggio da elementi accademici ad elementi sperimentali non crea dissonanze, o meglio, le dissonanze sono composte in una divertita armonia simmetrica. I costumi dei quattro asini, che entrano in scena sulle note dei “The Platters” strizzano l’occhio agli spettatori e coronano perfettamente l’idea artistica alla base di questa riproposizione. Idea (auto)ironica, divertita, palpabile: l’idea della infinità potenza creatrice dell’arte. Shakespeare non morirà mai. L’arte è ancora viva.

Antonio Sanges

Dopo avere vissuto in diverse città in Italia e in Europa, è tornato a Roma. Ha pubblicato libri di poesie e s'interessa di letteratura e teatro.

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