Tiziano Caputo racconta Letizia va alla guerra

Tiziano Caputo con Agnese Fallongo racconta la vita delle donne in guerra

Al Teatro Basilica di Roma dal 9 al 14 gennaio, va in scena uno degli spettacoli più belli ed emozionanti del panorama teatrale italiano: Letizia va alla guerra – La suora, la sposa e la puttana. In scena Agnese Fallongo e Tiziano Caputo diretti da Adriano Evangelisti.

Protagoniste tre donne che attraversano l’Italia tra la prima e la seconda guerra mondiale, che la rappresentano e portano in scena dinamiche della società dell’epoca. A raccontarci tutto ciò, uno degli interpreti dello spettacolo, Tiziano Caputo, che ringraziamo per essere qui sulle pagine di CulturSocialArt.

Letizia va alla guerra è uno spettacolo che parla di donne. Come vivi i tuoi personaggi che ruotano attorno ad esse?

Letizia va la guerra è uno spettacolo che cerca innanzitutto di far luce sugli ultimi, gli invisibili, le persone che fanno parte della storia e delle quali, purtroppo, spesso non resta alcuna traccia. Le tre protagoniste vivono gli effetti deflagranti delle guerre, incontrando sulla loro strada orrore e violenza, ma anche l’amore, in tutte le sue forme. Io sono onorato e lieto di dar voce a dei personaggi che, alla fine, si rivelano salvifici per queste donne, anche quando non tutto va come dovrebbe andare.

Quali sono le emozioni che ti accompagnano ogni volta che sali sul palco per interpretare questi personaggi?

Ogni volta che siamo in scena con questo spettacolo provo la stessa sensazione che si ha quando si ritorna a casa. I colori, gli odori e i suoni mi sono familiari e mi danno forza per novanta minuti. Questo succede un po’ per una questione personale legata al “primo amore”, poiché questo è stato il primo progetto della nostra compagine artistica, un po’ perché il senso del nostro lavoro è dar voce a delle anime inespresse e concedergli quindi la possibilità di raccontarsi. Questo genera una forte necessità di conoscenza e di confidenza, i personaggi diventano parte della tua famiglia e vivono in te tutte le volte.

Nella prima storia, sei per esempio il marito Michele che parte per la guerra, giovane e infelice perché lasci la tua giovane sposa, cosa pensi di questi personaggi che, in particolare nel passato, si confrontavano con le donne, spesso non in maniera corretta?

Il personaggio di Michele non rientra nella categoria degli uomini scorretti, è vittima anche lui della storia, tant’è che, proprio appena inizia ad assaporare l’amore, viene chiamato alle armi. Quello che mi preme specificare è che la scrittura di Agnese omaggia le donne ma questo non è un testo femminista, semmai “al femminile”.

All’interno dello spettacolo sono presenti delle figure maschili violente e negative, ma esistono anche figure femminili altrettanto distruttive nelle vite delle tre protagoniste. Far luce sui soprusi subiti dalle donne a quell’epoca, senza necessariamente screditare l’immagine dell’uomo, l’ho trovata una scelta di grande sensibilità artistica e umana da parte dell’autrice, che riesce a mettere nella scrittura un grande cuore, mantenendo la lucidità necessaria per raccontare “la vita” in maniera efficace e coinvolgente.

In generale invece penso che la società cambi e la storia si riempia sempre di nuove battaglie per i diritti, di nuove vittorie e di nuove sconfitte, ma la cosa che mi ha spesso sorpreso, è che il rispetto dell’altro, anche se è diverso da noi, non ha sempre a che fare con l’età o con il momento storico in cui si vive, ho conosciuto persone anziane molto più progressiste di alcuni miei coetanei.

Letizia va alla guerra presenta tre donne che vivono due guerre mondiali, cosa hanno rappresentato queste guerre, secondo te, per le donne italiane? Cos’è cambiato da allora?

Questo spettacolo si prefigge proprio come obiettivo primario, quello di porre una lente di ingrandimento sulla figura femminile all’interno del contesto bellico, raccontando uno spaccato del nostro paese ma aprendo mille ragionamenti più ad ampio spettro, sul fatto che spesso la guerra è considerata, erroneamente, solo una “cosa da uomini”. Ciò che invece sorge all’interno della pièce, è un mondo invisibile che quasi mai compare sulle prime pagine dei giornali, perché dell’orrore della guerra, purtroppo, si ricordano solo i grandi numeri, in mezzo ai quali però, c’è la vita di ogni singolo individuo.

Credo che non sia cambiato niente nel tempo, ci sono state e ci saranno sempre donne pronte a combattere e morire in prima linea in nome della libertà, altre, invece, che affrontano battaglie diverse, fatte di attese interminabili, che spesso si concludono con effetti altrettanto dolorosi. Penso ad esempio alla mia bisnonna, morta d’infarto a trentanove anni, quando ha ricevuto la notizia che suo fratello era stato bruciato vivo.

Nello spettacolo le donne non sono sempre viste in modo benevolo dalla parte maschile, cosa penserebbero oggi, gli uomini del passato davanti alle diverse considerazioni e alle conquiste delle donne?

Suppongo che, buona parte degli uomini del passato, vedrebbe il nostro come un mondo folle in cui, forse, si sta esagerando un po’ con i cambiamenti messi in atto. Sempre più spesso sentiamo parlare di patriarcato, violenza fra le mura domestiche, di disparità dei diritti, tutte questioni che, fino a cinquant’anni fa, erano considerate “normali”.

Non voglio giustificare i nostri antenati, semplicemente vorrei porre l’attenzione sul fatto che, purtroppo, molti nostri contemporanei ancora non riescono a capire quanto sia indispensabile essere considerati e rispettati tutti allo stesso modo. Il pensiero troglodita e maschilista non appartiene solo al passato, anzi, è ben radicato anche nel presente e credo che si possa estirpare solo con l’educazione dei nostri figli. La rivoluzione che sogno parte dalle famiglie e dalla scuola.

A guidarti in scena il regista Adriano Evangelisti, quali sono state le sue richieste registiche?

Adriano è un regista molto esigente che pone sempre l’interpretazione dell’attore davanti a tutto. È dotato di grande empatia e cerca il più possibile di metterti a tuo agio, gestendo sapientemente i diversi momenti di crisi che non mancano mai nella costruzione di uno spettacolo. Non l’ho mai visto risparmiarsi o tirarsi indietro di fronte alle responsabilità, tutte qualità imprescindibili per un regista che, come un allenatore, dovrebbe sempre guidare chi gli sta di fronte, talvolta anche con maniere più forti. Gli sarò eternamente grato per esser riuscito a completarmi come attore e per avermi aiutato a prendere confidenza con le mie parti nascoste, che sono sempre le più complesse da sviscerare.

Lo spettacolo non è solo recitazione, ma anche musica, con canzoni popolari cantate dal vivo. Le canzoni cosa rappresentano per lo spettacolo?

In tutti i nostri lavori la musica ricopre sempre un ruolo fondamentale, perché ha un respiro evocativo e completa la parola. In questo modo diventa più di un semplice accompagnamento e di una mera performance, entra a tutti gli effetti nella drammaturgia e ci aiuta a portare avanti la storia, elevandola però ad un livello più nobile e sublime.

Lo spettacolo va in scena da molti anni, a livello registico, attoriale, è cambiato qualcosa negli anni?

Lo spettacolo, anche se ovviamente si avvale di una base solida, è in continuo cambiamento e ogni replica è diversa dall’altra. Ci ritroviamo spessissimo ad aggiungere piccole sfumature, modificare battute o azioni, non solo in autonomia, ma anche in gruppo. Penso che sia proprio questo modo di lavorare così scrupoloso che ci rende sempre felici quando stiamo per andare in scena.

Avete vinto anche molti premi e avuto numerosi riconoscimenti, ce n’è uno che in particolare, vi ha resi maggiormente orgogliosi?

Sì siamo stati molto orgogliosi quando Agnese ha vinto il premio Franco Enriquez come migliore attrice giovane. In questo gruppo siamo talmente legati e simbiotici, che un premio individuale rende felici tutti allo stesso modo.

Quali sono stati i complimenti da parte della critica che avete apprezzato maggiormente? E dal pubblico?

Ciò che maggiormente ci gratifica nelle critiche è il riconoscimento di un’identità, di uno stile e di una forza comunicativa che anche noi avvertiamo sempre più forte. Riuscire ad essere apprezzati sempre, anche quando non rientri proprio nel gusto di tutti, che si tratti di addetti ai lavori o del pubblico, ci rende sempre estremamente felici, perché significa che tutto il lavoro che c’è dietro viene percepito e riconosciuto.

Cosa speri per il futuro di questo spettacolo?

Questo spettacolo ci ha dato immense soddisfazioni negli anni e spero vivamente che lo possano vedere ancora moltissime persone, sia in Italia che all’estero, dove già abbiamo avuto modo di rappresentarlo. È una gioia immensa poter fare quello che ti piace nella vita e il riscontro del pubblico resta uno degli aspetti più gratificanti, perché, quello che avviene con gli spettatori, è un vero e proprio scambio. Tu racconti sempre la stessa storia ma quello che ricevi da loro, in termini di emozioni, è sempre nuovo e irripetibile.

Grazie per essere stato con noi!

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Sissi Corrado

Responsabile del Blog Interessi tanti: lettura, scrittura, teatro, cinema, musica, arte, collezionismo, sociale, ecc.

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