Angela Ciaburri è Kathrine Switzer

Uno spettacolo sull’intraprendenza delle donne sul loro essere se stesse, sempre

Dal 27 al 29 marzo, in scena al Teatro Cometa Off di Roma, Chilometro_42, uno spettacolo scritto da Giovanni Bonacci e diretto e interpretato da Angela Ciaburri, attrice molto attiva tra teatro, cinema e tv. In questo spettacolo la protagonista è la prima donna ad aver corso una maratona ufficiale, Kathrine Switzer e quindi una pioniera nello sport.

La sua figura diventa occasione per poter parlare di donne, di pari opportunità, di vita, di coraggio di osare, di intraprendenza e molto altro e racchiude tutte le sfide che le donne di ieri, insieme a quelle di oggi, sono chiamate ad affrontare. Ne ho parlato insieme all’attrice e regista Angela Ciaburri che ringrazio per essere qui, sulle pagine di CulturSocialArt.

Salve, in Chilometro_42 porta in scena il personaggio di Kathrine Switzer, la prima donna nella storia ad aver corso una maratona ufficiale. Come ha conosciuto lei la sua storia?

Matteo Santilli, che con il PROGETTO SUPERFICIE, ha prodotto lo spettacolo, sapeva che stavo cercando una storia appassionante da raccontare. Una sera partecipa come pubblico a una serata di TROPS (un evento in cui si raccontano storie di sportivi) e Giovanni Bonacci aveva, in 10 minuti, letto un suo bellissimo pezzo su questa storia. Mi telefona e mi dice: “Giovanni Bonacci ha una storia per te, convincilo a scriverti lo spettacolo” e io “ma che storia è?” Mi risponde “fattela raccontare da lui”. E così ho fatto.

Cosa l’ha colpita della pioniera della corsa?

Kathrine era solo una ragazza alla ricerca della sua identità, ha cambiato il mondo semplicemente cercando di essere coerente con se stessa… cercando la sua strada. La sua partecipazione alla maratona di Boston ha, senza dubbio, segnato profondamente il mondo dello sport e il suo rapporto con la società civile, ma, il suo, era partito come coronamento di un sogno, non come un gesto di disobbedienza civile.

Le donne, così testarde e intraprendenti, da far paura, direbbe qualcuno, ma è davvero così?

Seguire la propria strada, senza calpestare gli altri, non fa paura, è solo un esempio di come noi tutti dovremmo portare al massimo le nostre potenzialità.

Oggi il mondo femminile ha raggiunto molti traguardi, ma ancora pochi, se vogliamo paragonarli alla parità di diritti. Cosa manca, secondo lei nel raggiungimento della concezione e consapevolezza della parità, all’interno della società?

Sì la sensazione è che ci sia ancora un ampio sbilanciamento di genere.

Da noi ci si aspettano sempre dei comportamenti da “specie diversa”, un equivoco nel quale sono state cresciute generazioni di donne. Infatti, spesso, noi stesse facciamo fatica a stare a nostro agio in situazioni di comodità, perché le donne sono sempre state scomode.

Quello che importa in assoluto, secondo me, è lo sguardo di chi governa. Chi governa dovrebbe tenere sempre ben presente il punto di vista delle donne, che è un punto di vista di genere ma è soprattutto un punto di vista dell’umanità.  Solo imponendo questa dinamica si può sperare che, prima o poi, non sia più necessario imporla, per essere riconosciuta.

Tornando a parlare dello spettacolo, cosa accomuna lo sport al teatro e quindi un’atleta ad un’attrice?

Il corpo, è uno strumento potentissimo che l’atleta deve governare e l’attore deve liberare. Il connubio è un’esperienza che si avvicina al trascendentale.

I temi che affronta lo spettacolo sono di grande attualità, tra cui il viaggio della vita. Come potremmo affrontare questo viaggio insieme, uomini e donne?

Semplicemente ascoltandoci: siamo, più che in altre epoche, presi dalla velocità e da un individualismo (per non dire solitudine) sfrenati. Tutto questo è sproporzionato rispetto alla misura dell’uomo, che è un animale sociale. “Vedere l’altro” è il primo passo per comprendere noi stessi. Come dico nello spettacolo: agli altri esseri per cambiare basta il proprio corpo, nel senso che è un fatto istintivo; per noi esseri umani, invece il cambiamento è un atto creativo e, nella maggior parte dei casi abbiamo bisogno che un nostro simile ci faccia da guida.

Lei è sia regista che interprete dello spettacolo. C’è una delle due figure, secondo lei, che a un tratto, ha preso il sopravvento? E perché è accaduto?

La regista ha tenuto le redini fino al debutto, poi ha lasciato lo spettacolo all’attrice che se lo sta cucendo addosso, facendosi attraversare sempre di più da quelle parole. L’attore è l’ultimo autore dello spettacolo, non si scappa.

Cosa ha detto la regista all’attrice e viceversa?

La regista all’attrice “ti ho consegnato una macchina perfetta: sii precisa, continua a studiare e a cercare il senso di quello che fai e dici in ogni replica”. L’attrice alla regista “Grazie per il lavoro che hai fatto, mi hai dato talmente tanti riferimenti e strumenti sicuri, che ora sono tranquilla in scena e posso occuparmi solo delle emozioni e del pubblico”.

Quale parte dello spettacolo ha voluto maggiormente spingere e perché?

Sicuramente la corsa nelle sue declinazioni più spettacolari. Credo che vedere il personaggio (e l’attrice) che suda e fatica in scena, per trovare se stessa, sia necessario per raggiungere una vera empatia con lo spettatore: ci fa prendere consapevolezza che la ricerca di se stessi è un percorso faticoso ma pieno di belle sorprese, che poi è quello che vogliamo raccontare.

In scena sarà lei a interpretare tutti i personaggi: come fa ad uscire ed entrare in modo dinamica da uno all’altra?

Ho puntato tutta la mia attenzione sul modo in cui pensano i personaggi: hanno sintassi e atteggiamenti diversi, perché pensano in modo diverso. È da quello che mi faccio guidare nell’interpretarli.

In scena anche la musica dal vivo di Munendo, cosa prova a recitare facendosi accompagnare dalla musica dal vivo?

Io e Munendo dialoghiamo in scena, siamo letteralmente insieme. Abbiamo solo due codici linguistici diversi, lui le note, io le parole. Con la sua musica riesco ad entrare nel film, emotivamente e fisicamente.

Cosa rappresenta per lei Chilometro_42?

È la mia opera d’arte, in senso stretto, senza punti esclamativi. Un concentrato dei miei gusti, dei miei approdi artistici, dei miei limiti e della mia vita professionale fino a qui.

Grazie e in bocca al lupo!

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Sissi Corrado

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