Femminicidio la parola del 2023

Una parola per aprire un dibattito sociale

La parola simbolo del 2023 è femminicidio. Ad affermarlo l’Istituto dell’Enciclopedia Italiana Treccani, nell’ambito della campagna di comunicazione #leparolevalgono, messa in atto per promuovere un uso corretto e consapevole della lingua italiana. La Treccani ha scelto questo termine perché, attraverso gli avvenimenti di quest’anno e la difficile situazione di questo fenomeno negativo, si possa porre l’attenzione sulla violenza di genere e promuovere un dibattito costruttivo che riesca a porre la tematica al centro di un’esigenza culturale.

Una parola comparsa nella lingua italiana nel 2001 e inserita all’interno della Treccani nel 2008, capace di raccontare negli anni, uno dei fenomeni più crudeli e anticulturali del nostro paese e non solo.

Riflettendo meglio sulla definizione di femminicidio, bisogna sottolineare che il fenomeno è molto più antico, in particolare lo è per la cultura italiana che, nel suo ordinamento, ha tenuto fino al 1981 la legge del matrimonio riparatore dopo lo stupro, abolita quell’anno grazie alla legge n. 442.

E a dirla tutta, parlare oggi di patriarcato come stile sociale del nostro paese, non è lontano dalla realtà e nemmeno dalla nostra storia. Lo dimostrano le differenze di genere che sono ancora ben presenti nel nostro paese, anche se la Costituzione Italiana non le ammette. Bisognerebbe, in questo caso, andare a spulciare ogni singola direttiva istituzionale o privata per adeguarsi ai dettami della Costituzione. Dovremmo essere molto più attenti a situazioni simili, anticostituzionali che penalizzano l’essere umano, in particolare le donne.

Eppure quando oggi si parla di patriarcato, si innalzano le opposizioni maschili e alcune femminili. Perché ci chiediamo? Perché gli uomini non accettano la realtà delle cose? Semplicemente perché atteggiamenti e convinzioni sociali sono ormai intrise nel loro modo di vivere e dialogare fra maschi e con le donne. Non ci sono scappatoie e non c’è ceto sociale che tenga, perché la politica fa scuola come la periferia di ogni città: il femminicidio non appartiene a un ceto sociale e quindi già questa situazione dovrebbe far riflettere.

Cambiare non sarà facile, ma in particolare, come ogni cosa, dovrà venire dalla volontà degli uomini che si dovranno impegnare ad innalzare l’asticella del rispetto, dell’attenzione verso tutte le donne, andando ad eliminare ogni forma di bullismo che, fino ad ora, hanno riservato alle stesse. Sarà difficile perché cambiare fa paura, perché cambiare significa cominciare a fare un esame di coscienza dinanzi ad ogni parola, gesto, ammiccamento, derisione che si è fatto fino ad ora.

E le donne che sostengono che il patriarcato in Italia non esiste? Le donne che sostengono una politica, un modo di vita sociale che continua a sostenerlo? Anche loro hanno paura, hanno timore di ciò che inconsciamente già sanno, ma che non hanno il coraggio di ammettere. Anche per loro vale la necessità di fermarsi dinanzi allo specchio e farsi un esame di coscienza che metterà in crisi la propria vita, il loro rapporto con gli uomini della famiglia, con gli amici e con gli atteggiamenti che vengono decifrati con spacconate innocenti.

Invece no, non è possibile accettare una discriminazione simile, come non è possibile accettare che i femminicidi non diminuiscano ma aumentino, né che non ci sia una legge o lo Stato che difenda le vittime. Non è accettabile che nel 2023 le donne stuprate debbano subire processi nei quali le vittime diventano i loro carnefici solo perché figli di… o perché giovani innocenti. Nemmeno si possono sentire affermazioni in cui gli uomini si difendono appellandosi al fatto che sono animali e quindi agiscono d’istinto.

No, l’uomo non è un animale, è un essere pensante e quindi ben consapevole e conscio delle proprie azioni, nonché delle sue intenzioni. Far bere o drogare una ragazza per poterla possedere non è giustificabile, uccidere una donna perché la si ritiene sua proprietà non è ammissibile, insultare e rivolgere a ragazze e donna parole o atteggiamenti offensivi, denigratori, rasenta la peggiore forma di umanità, quella che non ci appartiene.

Andiamo a difendere i diritti delle donne in Afganistan, ci ribelliamo per ciò che accade in Iran, ma non ci opponiamo alla società patriarcale che viviamo ogni giorno, con la quale siamo cresciuti. È sempre un mondo ipocrita quello che dichiara una cosa e poi agisce al contrario. Per questo motivo dovrebbe prendere maggior forza ed essere sostenuta la corrente di chi, invece, lotta ogni giorno contro le discriminazioni, si impegna in una divulgazione di uguaglianza e prova a intavolare discussioni per una crescita sociale equa e solidale, dove solidale non è sinonimo di perdono, ma di giustizia.

Solo allora si avrebbe il coraggio di guardare negli occhi quei genitori, quei figli e quelle figlie che hanno perso la madre, che hanno visto il terrore negli occhi di chi doveva proteggerli e che non li possono più incrociare. Spesso dimentichiamo tutti quei bambini e quelle bambine costretti a crescere e a vivere senza una madre perché uccisa e senza un padre perché omicida. E con quale coraggio, un giorno potrebbero avvicinarsi ad un uomo simile? Quante domande dovremmo porci e quante volte dovremmo metterci nei panni delle vittime per comprendere il male che esse hanno subito.

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Sissi Corrado

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