Il non presente Amori e dissapori
Un testo poco esplorato e non comprensibile
Al Teatro Quirino di Roma dal 28 marzo al 2 aprile è andato in scena lo spettacolo Amori e sapori nelle cucine del principe di Roberto Cavosi, da un’idea di Simona Cell, regia di Nadia Baldi e con Tosca d’Aquino e Giampiero Ingrassia, e con Giancarlo Ratti, altri interpreti Tommaso D’Alia, Francesco Godina Rossella Pugliese.
La storia è quella classica, il principe che per anni ha avuto a disposizione molte prostitute e una di queste, Teresa, la preferita del principe per un’intera estate, gli ha dato un figlio, ma i due non sanno l’uno dell’altro. Per mantenerlo e crescerlo, la giovane donna fa la cuoca nella cucina del principe stesso, non a palazzo, ma in una residenza secondaria, tanto che i due non si incontrano per vent’anni. Lei è certa di aver nascosto questo segreto per bene, invece, dicerie di gente, occhi scrutatori e invidia, conoscono tanto di lei. A intervenire è anche l’attuale cuoco del principe, Monsù Gaston, che scopre tutto, iniziando un continuo battibecco con Teresa. E le cose non sono proprio facili. Una donna del secolo scorso, una società che tende a nascondere, accusare, discriminare. La figura della donna vista come oggetto del desiderio, usata e discriminata per i suoi sentimenti, senza possibilità di riscatto perché qualunque cosa faccia sarà sempre in torto, sempre soggetta alla prepotenza dell’uomo. I temi da trattare potrebbero essere davvero tanti e potrebbero dar vita ad uno spettacolo intenso; potrebbero, appunto.
Gli attori in scena sono davvero bravi, Tosca D’Aquino, Giampiero Ingrassia, sono adeguati interpreti di una pièce che, per loro sfortuna, non riesce a decollare. Un testo che non ha nulla da svelare, che appare quasi sterile dal divertimento che dovrebbe creare. Siamo in una cucina e questa appare del tutto inadeguata come rappresentazione, se non in alcuni elementi, che però, non essendo sempre evidenti, si perdono con le parole. Siamo in Sicilia?, eppure della regione non si vede o percepisce nulla, tanto da non essere sicuri della collocazione geografica. Sembra si voglia riprodurre la bellezza del Gattopardo, la magnificenza della ricchezza dei nobili e la rassegnazione della servitù e del popolo, ma resta un pallido richiamo senza che esso appaia davvero. È difficile anche riuscire a comprendere i sentimenti che gli attori vogliono esprimere, se non per qualche battuta. La pièce resta immobile, ferma su un filo piatto e, nonostante i tentativi di animarla, non prende forma.
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