La malgara: Agitu Idea Gudeta

Agitu Idea Gudeta
Immagine da web

La forza e il coraggio di Agitu Idea Gudeta non possono essere dimenticati

Una donna uccisa per mano di un uomo è sempre una notizia. Per alcuni poi quella donna e quell’uomo assassino assumono un particolare atteggiamento pruriginoso quando ambedue sono rifugiati, ambedue provengono da due paesi africani… verrebbe da dire “fatti loro”, “beghe fra immigrati”. Se poi oltre all’omicidio ci aggiungiamo un tentativo di violenza sessuale, il tutto assume il classico scenario di un delitto passionale, l’ennesimo femminicidio. In questo caso, al momento, sembra che la causa scatenante sia uno stipendio non pagato!

Ovviamente l’aspetto da delitto in cronaca nera lo lascio alla magistratura.

Quello su cui vorrei riflettere è la storia di una donna che fa la malgara. Una immigrata che venuta in Italia all’età di 18 anni si laurea alla facoltà di sociologia di Trento, rientra nel suo paese e diventa un’attivista dei movimenti contro il “land grabbing”, una pratica “neocoloniale” che vede i latifondisti, spesso multinazionali occidentali,  costringere i piccoli allevatori e agricoltori ad abbandonare le loro terre e a ritornarvi come lavoranti. Minacciata di morte fugge in Italia che le riconosce lo status di rifugiato politico. Fin qui la storia dei tanti immigrati che sbarcano nel nostro paese con la speranza di una “nuova vita”.

Ma Agitu Idea Gudeta non è solo una laureata in sociologia, con una perfetta conoscenza dell’italiano, e attivista politica. Agitu è originaria di un paese l’Etiopia, verso cui l’Italia ha un forte debito di riconoscenza, per il suo passato coloniale fascista. Agitu, originaria di Addis Abeba, viene da una famiglia di pastori, apprende l’arte della pastorizia dalla nonna che trasforma il formaggio con metodi tradizionali. E’ una sapienza contadina che Agitu trasferisce nella sua malga sulle Dolomiti dove tra i verdi pascoli della Val dei Mocheni alleva da sola le sue quaranta capre Pezzata mochena e non tradendo la sapiente arte tradizionale del suo paese produce in casa latte, formaggio e yogurt. Agitu riesce a conciliare la sostenibilità ambientale e la qualità dei prodotti.

Agitu e il suo turbante. L’immagine che rimarrà impressa nella nostra memoria di Agitu è sicuramente il suo sorriso e quel turbante multicolore che le fascia il capo. Un turbante che un gruppo di profughe di varia nazionalità tra cui donne etiopi, confezionano con stoffe africane per poi donarli a donne italiane in chemioterapia, unendo formazione imprenditoriale e integrazione nel nome della solidarietà di sorellanza.

Quando accadono vicende come questa dovrebbe essere l’occasione di raccontare l’Africa e le migrazioni in maniera diversa, partendo da storie personali, come quella di Agitu,  una delle tante donne etiopi residenti in Italia: alla fine del 2019 erano 2.935 uomini e 4443 donne (di cui il 30% del totale solo nel Lazio). Agitu rappresenta una donna etiope che ce l’ha fatta. Laureata e imprenditrice in un lavoro quello della pastorizia tipicamente maschile. E allora quando pensiamo a lei non dobbiamo però dimenticarci delle migliaia di donne etiopi che vengono schiavizzate nei paesi arabi (sauditi, libanesi, kuwatiani) come domestiche, a cui è concesso tre ore di riposo giornaliero e un solo giorno di ferie al mese. Laurearsi come Agitu è per molte donne del suo paese un miraggio, già è tanto se riescono ad andare a scuola. Per molte di loro è un sogno che le può sottrarre a quei destini che sono quasi obbligati: dal lavoro in campagna, ai lavori umili delle città che può vederti fare la donna di servizio ma anche la prostituta per pochi dollari.

Qualcosa per merito delle donne però in Etiopia si sta muovendo, in un paese dove il maschio ha da sempre dominato su una popolazione di 102 milioni di abitanti. Agitu per molte donne etiopi poteva essere un modello da seguire, un bel sogno, che la mano assassina di uomo ha stroncato.

L’Etiopia è un paese di cui troviamo traccia già nei poemi omerici, ma anche in un romanzo noir di Carlo Lucarelli “L’ottava vibrazione”. Un romanzo che parla d’amore di guerra, di morte, di puttane e faccendieri sullo sfondo delle guerre coloniali italiane in Africa, quelle che ci videro “italiani brava gente”. Ed è leggendo questo noir che ho scoperto la poesia del poeta etiope Tsegaye Gabre Medhin: “Home-coming son” (Il ritorno del figlio).

Ed alla malgara che voleva vivere in armonia con la natura che dedico questi versi di un poeta della sua terra.

Il ritorno del figlio

Guarda dove metti i piedi impuro straniero
Questa è la terra dell’ottava armonia
Dell’arcobaleno: il Nero.
È la faccia oscura della luna
Portata alla luce
È la tela del capolavoro di Dio.

Fuori dai tuoi abiti forestieri impuro straniero
Sèntiti parte del grande capolavoro
Cammina in pace, cammina solo, cammina eretto
Cammina libero, cammina nudo
Lascia che le antenne della tua madre terra
Ti carezzino i piedi nudi
Lascia che il Suo alito baci il tuo corpo nudo.

Ma attento, attento a dove metti i piedi dimenticato straniero
Questo è proprio il fondo delle tue radici: il Nero.
Dove i tamburi dei tuoi padri vibravano
Nel pauroso silenzio delle valli
Squassavano, nei corpi colossali delle montagne
Vibravano, nei petti profondi delle giungle.
Cammina orgoglioso.

Attento, ascolta i richiami degli spiriti ancestrali figliol prodigo
Il richiamo del suolo che aspetta da sempre
Ti accolgono a casa, a casa. Nel canto degli uccelli
Riconosci sospeso il tuo cognome
Il vento soffia i nomi gloriosi dei guerrieri della tua schiatta
La brezza leggera soffia nelle tue narici
La polvere delle loro ossa.
Cammina eretto. Gli spiriti danno il benvenuto
Al figlio perso e ritrovato.

Attento, e fuori dai tuoi abiti forestieri fratello
Sèntiti parte del grande capolavoro
Cammina nella gioia, cammina nel ritmo, cammina eretto
Cammina libero, cammina nudo
Lascia che le radici della tua madre terra ti carezzino il corpo
Lascia che la pelle nuda assorba il sole di casa e brilli d’ebano.

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Roberto Papa

“Ci sedemmo dalla parte del torto visto che tutti gli altri posti erano occupati”. (Bertold Brecht)

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