Redenzione e perdono ne Il cacciatore di aquiloni
Un libro che racconta sia la crudeltà che la redenzione dell’uomo
“Qualcuno ha detto che in Afghanistan ci sono molti bambini, ma manca l’infanzia.”
La letteratura straniera mi ha sempre affascinata per diversi motivi, uno fra tanti è quello che ti permette di conoscere e avvicinare culture diverse, di capire il mondo. Leggere è un modo per aprire la mente e per invogliare a viaggiare, desiderando conoscere luoghi e persone di cui hai letto, usi, costumi, pensieri. Viaggiare è l’anticamera dell’inclusione che diviene accoglienza: sarà difficile non accogliere come si è accolti e, nella maggior parte del mondo, escluso qualche eccezione a causa di pregiudizi e guerre, si viene accolti sempre bene, fin dall’antichità.
Sarà per questo che non ho saputo rinunciare al richiamo di un best seller Il cacciatore di aquiloni, titolo originale The Kite Runner, del 2003, del medico e poi scrittore Khaled Hosseini, nato a Kabul, figlio di un diplomatico, che nel 1980 ottenne con la sua famiglia, asilo politico negli Stati Uniti, dove vive e lavora. Un libro pubblicato in 12 paesi, divenuto un caso internazionale, che racconta trent’anni di vita afgana. Ed è proprio la voglia di conoscere la popolazione e la storia di un popolo che ha subito una serie di guerre ed insurrezioni, che oggi, nel 2023, ha visto tornare al governo i Talebani, dopo un apparente periodo di libertà, che mi ha spinta a leggere il libro.
TV, radio, giornali, blog, ci raccontano della dura, difficile vita del popolo afgano, sottomesso alle leggi talebane che proibiscono ogni tipo di libertà e sottomettono le donne, la bellezza, che diventa invisibile e da schiacciare. Paura, terrore, miseria, ingiustizia, sono solo alcune storie che ci giungono dall’Afghanistan. Eppure il paese ha una sua tradizione, una cultura millenaria che gli uomini moderni, questi uomini moderni, non hanno mai saputo apprezzare, ma solo sfruttare.
Amir e Hassan sono due ragazzini cresciuti insieme. Il primo è il figlio di un uomo ricco e noto di Kabul, il secondo solo della donna che ha nutrito nei primi mesi di vita anche Amir e che per un periodo è stata a servizio a casa di Amir. I due vengono considerati fratelli di latte, come diremmo noi occidentali, perché sono stati nutriti dallo stesso seno. Il giovane Hassan è un bravo cacciatore di aquiloni, pratica che a Kabul è molto amata, tanto da organizzare delle gare tra ragazzi, dove i due amici partecipano insieme. Amir fa volare il suo aquilone e, quando questo prende quota da solo, Hassan sa ritrovarlo ovunque, anche in modo veloce.
Ma Kabul negli anni Settanta del Novecento, non è proprio una città tranquilla. Certo, è più libera di quanto possa essere oggi, ma in molti ambienti vige la paura dei soldati, che possono commettere violenze e restare impuniti, in particolare contro donne e bambini, c’è la paura dei russi che sono alle porte e vogliono conquistare il territorio, c’è l’incertezza della monarchia, ma ci sarà anche l’ascesa dei talebani, in un futuro non lontano che cambierà la città, nonostante, nei primi anni, sia in piena crescita. Kabul non è diversa dalle mille altre metropoli nel mondo, non è solo bellezza, e ne ha tanta, ma è anche violenza.
È qui che, durante una gara di aquiloni, Hassan, mentre tenta di recuperare quello del suo fraterno amico Amir, viene preso di mira da un gruppo di ragazzi, che lo perseguita da un po’. Hassan, infatti, non ha un padre che possa difenderlo, appartiene ad una bassa classe sociale e già alla sua età, si sente inferiore al suo amico. È timido e rispettoso, ringrazia per ogni cosa e per questo motivo viene preso di mira dai bulli della zona. La violenza carnale subita da Hassan, cambierà la loro amicizia, interrompendola e lasciando Amir con una colpa che si porterà dietro per sempre.
Amir racconta la sua storia attraversando il tempo. Dopo la violenza subita dal suo amico, infatti, si ritrova nel 1981 a dover andar via dall’Afganistan con Baba (il padre) e si dedica agli studi, quindi si innamora, si sposa e diventa uno scrittore di successo. Vent’anni dopo riceve una telefonata da un amico del padre, ormai morto, che lo chiama per correre in aiuto di Sohrab, figlio dell’amico Hassan. Il libro non tralascia gli orrori di un paese gestito da uomini duri e senza scrupoli, mostrando l’eccesso malvagio dell’umanità che si riversa sui più deboli, su coloro che non possono difendersi, in particolare sui bambini, usati come merce di scambio, come oggetti sessuali.
È un libro che parla di redenzione, dopo aver mostrato al lettore, la paura, l’egoismo. Parla di crescita interiore e di perdono, perché, dopo tutti gli orrori che si possono vedere, subire, c’è sempre la speranza di poter continuare a vivere in un ambiente migliore, insieme a chi può aiutare a dimenticare. La crudeltà messa in evidenza in questo toccante libro, ci fa riflettere sugli orrori della guerra, sulle difficoltà di cittadini che vivono in nazioni in cui mancano i più elementari diritti umani, in cui il potere dispotico è l’unica legge che viene esercitata.
Il romanzo di Khaled Hosseini ha ottenuto un ottimo riscontro di critica e pubblico, tanto da essere adattato per un film che porta lo stesso titolo del libro e successo, anche se nella pellicola cinematografica presenta alcune differenze con il libro, in particolare con il finale, quasi a voler addolcire un po’ alcune pagine.
“Ma ti prego di riflettere su questo: un uomo privo di coscienza e di bontà non soffre.”
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